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E le banche? Sia l'indagine semestrale UniCredit sia la rilevazione trimestrale dell'Isae segnalano un lieve allentamento, rispetto alla scorsa primavera, nei criteri di concessione del credito da parte delle banche, sia pure verso le grandi imprese più che verso le Pmi. Emerge anche un lieve calo nella percentuale delle imprese che risultano "razionate in senso debole", che cioè hanno avuto a disposizione ma hanno scelto di rifiutare un fido bancario perché troppo oneroso. Al tempo stesso è precipitato ai peggiori livelli dal 2003 il saldo tra le imprese che ritengono più facile e quelle che denunciano più difficile l'accesso al credito.
Vale il ripetuto richiamo di Draghi ai banchieri perché, affinando la propria analisi del "merito di credito" (ben diverso dal "credito politico"), tengano in dovuta considerazione i casi in cui sono oggi in default o a rischio di fallimento, per repentino crollo della produzione e degli ordinativi, proprio numerose imprese che prima della crisi si sono indebitate per espandere-ristrutturare-migliorare la propria capacità produttiva. Oggi come mai le banche sono chiamate a rilanciare un "patto per la crescita", in cui credito bancario e finanza straordinaria possano combinarsi con la disponibilità degli imprenditori a impegnare una quota maggiore del proprio patrimonio familiare (o reperire capitale non familiare, diluendo il controllo proprietario) per ricapitalizzare l'impresa in cui vogliono continuare sinceramente a scommettere, a vantaggio della propria famiglia, ma anche del capitale umano e tecnologico del territorio e dell'intero paese.