E se fosse la volta buona, per le decine di milioni di italiani che vivono in condominio arrangiandosi con le norme di 67 anni fa? Nella patria del diritto romano esiste da decenni un'isola di common law, dove il 90% delle questioni si regola a colpi di sentenze, soprattutto della Cassazione, chiamata di continuo a occuparsi di zerbini, tende da sole, pianerottoli e caldaie. Quest'isola infelice sta forse per essere collegata alla terraferma da un disegno di legge, all'esame della commissione Giustizia del Senato, che risolve almeno in parte le principali questioni legate al trascorrere del tempo. Perché per il legislatore del 1942 era davvero difficile prevedere che gli italiani si sarebbero trasformati troppo in fretta da inquilini in proprietari, forse ancora immaturi per capire che i beni comuni servono a valorizzare lo stabile e a viverci meglio. E che il vivere vicini deve essere occasione di socialità e non di lite.
Il condominio è forse l'unico istituto di grande rilievo che non sia mai stato riformato, anche se alcune leggi speciali sono intervenute negli ultimi anni sui temi della sicurezza e del risparmio energetico. Così si continua a chiedere il parere della Suprema Corte sulla possibilità di distaccarsi dall'impianto di riscaldamento o se l'amministratore possa ricevere deleghe, e si lascia ai capricci di un solo condomino la possibilità bloccare la cessione di una portineria ormai inutile. Ora le cose stanno per cambiare.
La vicenda della riforma del condominio, portata avanti pigramente in tutte le legislature da oscuri parlamentari, in labile contatto con le associazioni degli amministratori condominiali, aveva preso una svolta improvvisa nel 2006. Quando il senatore Franco Mugnai (anche oggi relatore del nuovo Ddl) aveva raccolto pazientemente pareri e proposte, ottenendo la sede deliberante e arrivando all'Aula del Senato nello scorcio della XIV legislatura. Ma ostruzionismi e continue richieste di verifica del numero legale avevano definitivamente affossato il Ddl, vittima dei duelli fra maggioranza e opposizione, nonostante fosse già stato votato all'unanimità in commissione Giustizia.
Così, mentre l'assemblea diventava il luogo delle liti e il condominio un mondo dove vivere era sempre più difficile, l'occasione perduta sembrava l'ultima. Ma forse ci si è resi conto che un ripensamento generale sul condominio era più urgente che auspicabile. Il nuovo testo unificato, che raccoglie i Ddl/As 71, 335, 339, 1119 e 1283, rinnova profondamente la trama di un tessuto normativo pericolosamente usurato, che non può più essere sfruttato con le innumerevoli pezze messe dalle sentenze di merito e di Cassazione.
Il testo interviene là dove non se ne può più fare a meno: la morosità, resa davvero difficile da una forte responsabilizzazione dell'amministratore e dall'obbligo imposto ai creditori del condominio di rivalersi anzitutto su chi è in ritardo nei pagamenti; la trasparenza nella contabilità, con l'obbligo del conto corrente condominiale e di un bilancio chiaro; la possibilità di distaccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato provando che non si arrecano perdite agli altri condomini; la possibilità di cedere i beni comuni quando questo sia di innegabile vantaggio per il condominio con una maggioranza qualificata; solo per citare alcuni delle principali modifiche proposte. E ancora i chiarimenti sul divieto di delegare l'amministratore a partecipare all'assemblea, e la creazione di un elenco dove sia possibile vedere quali sono gli stabili da lui amministrati, e dove i disonesti non possono iscriversi. Ci sono anche alcuni punti dubbi, come l'obbligo per il giudice di nominare, in prima istanza, un condomino come amministratore degli stabili dove l'assemblea non provvede. Ma ci sarà tempo per correggere il tiro.
Comunque, il Ddl unificato ha più di qualche speranza di arrivare in porto in tempi brevi e di ottenere la sede deliberante, dato il sostanziale accordo dei capigruppo. E anche se questa riforma è molto simile a quella tentata tre anni fa, oggi appare decisamente più pratica e praticabile.