Lo spaccato sui dati Inps nel 1998-2008 si presta a riflessioni che riguardano non soltanto il passato del nostro sistema pensionistico, ma anche il suo futuro. Anzitutto, i dati aggregati mostrano una sostanziale stabilizzazione della spesa (al netto della componente assistenziale) intorno al 13,5% del Pil. Questa stabilizzazione - che contrasta con la precedente dinamica, sempre crescente - è frutto delle riforme degli anni 90 e in particolare delle progressive restrizioni ai requisiti minimi di accesso al pensionamento, soprattutto per le pensioni di anzianità, oltre che del peggioramento nel meccanismo di indicizzazione delle pensioni, ancorate soltanto più ai prezzi invece che ai salari (che normalmente crescono più dei prezzi).
Sul piano più disaggregato, accanto alla variabilità delle situazioni tra categorie e regioni e a distorsioni lente a morire, emergono con forza alcune tendenze. Anzitutto, l'età media di pensionamento aumenta, pure se in misura insufficiente a compensare gli effetti dell'invecchiamento, così che anche il numero di pensioni aumenta; in secondo luogo, l'importo medio delle pensioni sale anch'esso, ma in misura inferiore al reddito medio degli attivi, così che il rapporto tra le due grandezze (il cosiddetto tasso di sostituzione) scende, a indicare un relativo peggioramento della condizione dei pensionati rispetto a quella dei lavoratori.
È verosimile che queste tendenze si confermeranno in futuro. Il sistema pensionistico sta infatti vivendo una transizione, per la verità assai lunga, tra un passato generoso (non in assoluto, ma nel rapporto tra i contributi versati e i benefici ricevuti) e un futuro assai più severo. Questa transizione è segnata, oltre che dall'invecchiamento demografico, che ne rappresenta forse la principale giustificazione, dal passaggio dalla formula retributiva a quella contributiva di calcolo della pensione, una formula più rigorosa, ma anche più trasparente (e perciò meno favorevole ai vari privilegi dai quali era gravato il sistema precedente), e comunque tale da non mettere a repentaglio, con un eccesso di promesse, la sostenibilità futura delle pensioni pubbliche, ma neppure da pregiudicare interventi a favore degli anziani meno fortunati.
La formula contributiva contiene anche la chiave per evitare che gli importi futuri delle pensioni siano troppo bassi; essa consiste nel "premio" dato alla continuazione della vita lavorativa, anziché nella penalizzazione che caratterizza ancora oggi le pensioni di anzianità.
Tutti questi cambiamenti avvengono con estrema lentezza, mentre l'economia attraversa una fase difficile, che farà salire la spesa pensionistica in rapporto al Pil. Sul piano delle riforme, è troppo facile, a posteriori, ma anche sterile, sostenere che sarebbe stato meglio fare di più. Invece di rimpiangere le occasioni perdute, quel che conta è il futuro. Non vi sono i presupposti, nonostante la crisi, per fermare la transizione in corso: il metodo contributivo va mantenuto, così come vanno mantenuti gli sforzi per favorire la partecipazione dei lavoratori ai fondi pensione. Migliorare il funzionamento del primo e dei secondi appare molto più efficace che non cercare nuove riforme di breve periodo, volte a contrastare gli effetti della crisi sul rapporto tra la spesa e il Pil. È importante che non si torni all'uso politico delle pensioni che molti guasti all'economia e molti oneri per le giovani generazioni ha determinato in passato.