Il dibattito sui futuri requisiti di capitale delle banche sta entrando nella fase più delicata e il Fondo monetario internazionale ha presentato martedì due contributi che meritano di essere analizzati congiuntamente. Il primo individua costi e benefici di un requisito ulteriore di capitale per le banche che possono generare rischi di carattere sistemico, mentre il secondo formula proposte per eliminare una parte notevole dell'instabilità collegata ai mercati non regolamentati (Otc o Over-the-counter) dei derivati.
Sul primo versante, l'analisi del Fondo dimostra che l'attuazione concreta della proposta sarà tutt'altro che semplice. Apparentemente, l'idea è quasi degna del marchese di La Palisse: ci siamo scontrati con un enorme rischio di carattere sistemico generato dalle grandi banche e dunque istituiamo nuove autorità incaricate di vigilare su questo tipo di rischio (un'authority dopo un disastro di ogni tipo è come il sigaro toscano di Giolitti: non si nega a nessuno) e applichiamo un onere addizionale a chi genera rischi sistemici, così come si impongono costi aggiuntivi a chi immette fumi inquinanti nell'atmosfera.
Purtroppo, in campo finanziario calcolare qual è il livello "equo" di onere aggiuntivo è un'impresa assai complessa e che può portare a varie soluzioni, tanto che mentre Fmi e Comitato di Basilea pensano a un requisito di capitale in aggiunta a quelli standard (che comunque si pensa di elevare), molti politici (ad esempio in Francia, Germania e Regno Unito) propongono una tassa vera e propria (ma su cosa? Sui profitti? Sul totale delle attività? Sul totale di quelle più legate ai rischi sistemici? Le opzioni sono infinite e nessuna è ottimale).
Il Fondo monetario mette poi in evidenza un altro problema grande come una casa: la stessa introduzione di una difesa di questo tipo può aumentare la propensione dei regolatori a mostrarsi indulgenti verso le banche più grandi, cioè a ricadere nella sindrome del "too big to fail". In particolare, il Fondo afferma che l'importante è dotare le nuove autorità di poteri adeguati per «limitare formalmente la capacità delle istituzioni finanziarie di divenire rilevanti dal punto di vista sistemico». Un bell'avvertimento per l'autorità europea di prossima istituzione, totalmente priva di tali poteri.
In ogni caso, oneri addizionali di capitale sono sicuramente uno degli strumenti che rispondono a questa esigenza, nonostante la complessità tecnica e politica di metterli in campo (e non a caso il Fondo un po' pilatescamente afferma di analizzare questo strumento senza che questo significhi la condivisione della sua effettiva utilità).
Non bisogna però dimenticare che esistono altri strumenti che possono consentire di affrontare il problema senza pensare a una misura che si preannuncia così controversa, soprattutto se unita all'innalzamento del livello medio dei patrimoni bancari. È infatti evidente che bisognerà imporre requisiti di capitale ordinari alle istituzioni (molte delle quali appartenenti ai grandi gruppi) che svolgevano attività bancarie senza essere regolate come banche e che componevano il cosiddetto "sistema bancario ombra" (i veicoli della securitisation e vari intermediari frutto dell'innovazione finanziaria). Questi soggetti non hanno retto alla tempesta sistemica perché totalmente privi (con la compiacente connivenza delle autorità anglosassoni) di risorse di capitale. Ma se si sceglie questa strada (teoricamente ed empiricamente fondata), che il Fondo non prende esplicitamente in considerazione, una parte del problema delle istituzioni sistemicamente rilevanti verrà risolto e l'imposizione di un onere aggiuntivo di capitale potrebbe sembrare una forma di doppia imposizione.
Un altro contributo importante può venire dalla misura che il Fondo analizza, cioè il controllo del rischio di controparte sui mercati derivati attraverso l'intervento di controparti centrali ed eventualmente di mercati regolamentati. Un mercato che ha raggiunto i 600mila miliardi di dollari (dodici volte il Pil mondiale) e che è quasi tutto trattato su mercati Otc, in cui la richiesta di garanzie collaterali è minima, comporta la possibilità di grandi profitti, ma solo perché consente posizioni speculative basate sul debito.
Ma la leva finanziaria amplifica anche le perdite quando le cose vanno male, con risultati che possono essere catastrofici. La presenza di controparti centrali (che assumono su di sé il rischio di inadempienza di una delle parti del contratto e dunque impongono margini adeguati) consente appunto di evitare le reazioni a catena di carattere sistemico, come quelle esplose in occasione delle crisi di Lehman e di Aig.
Obiettano le grandi banche che questo comporterà costi aggiuntivi per gli intermediari e una riduzione dei volumi di attività. E allora? È esattamente questo l'obiettivo da raggiungere: se è provato al di là di ogni ragionevole dubbio che i profitti finanziari fino al 2007 erano la conseguenza di una enorme bolla che ha portato intermediari sempre più indebitati a operare su prodotti finanziari caratterizzati da livelli di leva e di rischio sempre più alti, qualsiasi strumento per sgonfiare la bolla e tornare su livelli di profitto e rischio normali dovrebbe essere benvenuta.
L'importante è capire quali sono le (poche) misure veramente essenziali su cui si vuole basare la futura riforma del sistema finanziario. Altrimenti, lasciando le cose nel vago o peggio ancora proponendo varie riforme, tecnicamente molto complesse e in qualche modo complementari fra loro, si rischia di rinforzare il fronte dell'opposizione alle regole, che, come ha detto ieri Strauss-Kahn, si mostra sempre più compatto via via che i bilanci delle banche migliorano. Ma migliorano solo perché le cause che hanno portato alla più grande crisi finanziaria della storia non sono state ancora rimosse.