Come spesso accade, Umberto Bossi è bravo a indicare un obiettivo vago e futuribile quando invece il suo interesse è vicino e concreto. L'altro giorno aveva affacciato l'ipotesi di candidarsi a sindaco di Milano, ieri ha proposto lo scenario un po' fantapolitico di un premier leghista nel 2013. Ma quello che davvero interessa al Carroccio è evidente: ricordare a tutti che il peso politico della Lega è cresciuto parecchio dopo le regionali e che ci sono quote di potere da distribuire nel Nord, soprattutto nel mondo delle banche.
Su questo Bossi è esplicito, con tutte le ruvidezze tipiche del personaggio. Ma c'è dell'altro. Il vecchio leader è abbastanza astuto da sapere che l'identità leghista deve essere ridefinita giorno dopo giorno nei confronti dell'ingombrante alleato berlusconiano. Per cui non può ammettere in cuor suo che Berlusconi proceda come un capo carismatico e incontrastato, quasi avesse dietro di sé un partito unico e non un patto politico sottoscritto da due forze, Pdl e Lega. Quest'ultima gelosa della propria autonomia e indipendenza.
Se questo è vero, c'è da dubitare che a Bossi sia piaciuto il Berlusconi di Parma: quello che si è presentato come l'interlocutore privilegiato degli industriali, una sorta di «rock-star» della politica, dimenticando che nel Nord, e financo nel Centro-nord, senza i voti leghisti il Popolo della libertà si troverebbe in grosse difficoltà.
In fondo ieri Bossi ha voluto ricordare al presidente del Consiglio che l'alleanza con la Lega è solida, ma non è un dato acquisito per sempre. E in ogni caso ha un costo che va pagato. Se poi le riforme, anziché un serio progetto parlamentare, diventano un gioco di fuochi artificiali mediatici, anche i leghisti sanno spararne alcuni: e infatti ecco l'idea del premier nel 2013. Che vuol dire tutto e niente, più che altro simboleggia la rilevanza della Lega come partito non più meramente territoriale. E comunque serve a conquistare i titoli dei giornali, evitando che siano occupati solo dalle scorribande di Berlusconi.
In realtà gli obiettivi della Lega sono pragmatici. Una migliore distribuzione del potere finanziario, come si è detto. Il federalismo e in particolare il federalismo fiscale. Una legge elettorale che Bossi ama così com'è, dati gli ottimi risultati ottenuti dal suo partito, e che non vede ragione di mettere in discussione alla leggera. Questo è il punto chiave che lo avvicina a Berlusconi e che naturalmente lo allontana dal centrosinistra e anche da Gianfranco Fini.
C'è da chiedersi come pensa la Lega di ottenere il consenso del Pd sulle riforme (secondo gli auspici, ad esempio, di Maroni e ieri anche del presidente Schifani) se poi non intende mettere sul tavolo la legge elettorale. A meno di non immaginare che questo segmento cruciale del negoziato sia tenuto da parte come moneta di scambio per il momento, non sappiamo quanto lontano, in cui sarà necessario trattare davvero con l'opposizione.
Vedremo. Senza dimenticare una semplice verità: vale a dire che Bossi, al dunque, si comporta come Berlusconi, animato dallo stesso istinto. Ciò che veramente gli interessa è conservare e se possibile accrescere il suo consenso. Il progetto federalista è strategico, ma può essere modulato nel tempo. L'importante è che nulla intervenga a incrinare il rapporto del Carroccio con l'elettorato, fonte di ogni legittimità e di ogni potere.