È vero che la diplomazia ha sempre un'innata vocazione per il teatro. Ieri, al vertice di Copenhagen, i paesi africani sono usciti in blocco dalle stanze del negoziato, per protestare contro le intransigenze dei paesi ricchi. Di lì a poco, un gruppo ambientalista ha intonato in coro: «We stand with Africa». È vero che la diplomazia, e quella climatica in particolare, ha una predisposizione per la "zona Cesarini". Nel 1997, a Kyoto, gli stessi 192 paesi raggiunsero l'intesa sull'omonimo Protocollo nelle prime ore del mattino del giorno dopo, quando la stanchezza aveva ormai vinto sull'intransigenza.
Ma è anche vero che, dopo aver concordato due anni fa a Bali (sempre all'ultimo minuto) sul percorso e l'obiettivo di un nuovo trattato, la stessa diplomazia dovrebbe aver deciso da tempo meccanismi, misure e costi di questo processo che prelude alla ristrutturazione del sistema energetico mondiale.
Lo stallo di questi giorni non lascia preludere all'accordo planetario di cui ci sarebbe bisogno. Scommettere di nuovo sulla "zona Cesarini" potrebbe essere pericoloso. Fare gol all'ultimo minuto è bellissimo. Ma non sempre possibile.