I problemi legati alla questione dell'ordine pubblico, come ampiamente e drammaticamente dimostrato dall'aggressione subita a Milano dal presidente del Consiglio Berlusconi, sono cosa seria. A sottovalutarli o a lasciarli insoluti in una zona grigia fatta di rinvii, mezze soluzioni e rimpalli politico-burocratici si possono correre rischi gravi. E comunque, anche a prescindere dal verificarsi o meno di incidenti, è sempre una brutta pagina quella che può aprirsi su una città e i suoi cittadini che diventano ostaggi di ogni forma di protesta sociale, dando per di più l'impressione di un caos diffuso e incomprimibile.
L'eterna e spesso scanzonata pazienza di Roma e dei romani, ad esempio, è stata messa a dura prova nelle settimane scorse. Tra cortei, manifestazioni e sit-in (a volte concomitanti) nella Capitale della politica e della diplomazia già ordinariamente congestionata, i black out della mobilità sono stati frequenti e misurabili in termini di code chilometriche, aumento dello stress e dei costi e peggioramento della qualità dell'aria.
Per rendere compatibili il diritto a manifestare e quello alla mobilità (entrambi garantiti dalla Costituzione) in una situazione logisticamente complessa come quella di una metropoli con un grande centro storico, il 10 marzo scorso in Prefettura venne firmato un protocollo d'intesa per la disciplina delle manifestazioni, tragitto dei cortei e uso delle piazze sottoscritto, tra gli altri, dal Comune, dalla stragrande maggioranza dei partiti e dai quattro maggiori sindacati.
Dopo sei mesi dal varo del protocollo era prevista una verifica. Ed eventualmente si sarebbe dovuto cambiare strada, rafforzando un'intesa che fa acqua da tutte le parti. Peccato che nulla di tutto ciò sia accaduto. Anzi la situazione, tra un allarme e l'altro del sindaco Alemanno, è peggiorata, fino a raggiungere a dicembre picchi di tensione molto alti. E avvicinandosi lo shopping natalizio è arrivato alla fine lo stop-miracolo (concordato tra Comune, questura e prefettura ma non sottoscritto dalla Cgil e già contestato dalla sinistra extraparlamentare e da diverse sigle studentesche) per il periodo 12 dicembre-12 gennaio 2010, tranne un'unica manifestazione già prevista per il 21 dicembre.
Che cosa accadrà dopo la moratoria, ammesso che tutto fili liscio in queste settimane, nessuno può dirlo. Il clima politico è tutto meno che disteso e dai contestatori dell'accordo giungono slogan del tipo «siamo in una democrazia limitata» e si fa strada la «tradizione reazionaria». La Cgil di Roma e del Lazio taglia corto: «Per noi va bene così, è sbagliato ora che c'è la crisi limitare gli spazi della protesta».
Mentre si aggiungono particolari curiosi: la questura dice che la protesta si potrà comunque fare «in forma statica» (sit-in) nelle piazze indicate dal protocollo, il sindaco spiega che sarà possibile solo in quelle «chiuse» dove non ci sono problemi di circolazione (che succede, infatti, se i manifestanti scendono dai marciapiedi, come già accaduto, bloccando il traffico?). Il prefetto, a sua volta, si barcamena tra le sue due anime istituzionali: «mediatore» nelle vertenze di lavoro e responsabile dell'ordine pubblico.
Passato lo shopping, scavalcati Natale, Capodanno e la Befana si ricomincerà. Sotto un protocollo bucato.
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