Egregio direttore, ho letto sul Sole 24 Ore di venerdì 11 dicembre un articolo di Roberto Perotti che, nella sua titolazione e nel suo contenuto, riveste un carattere diffamatorio della facoltà che ho l'onore di rappresentare, oltre che dei candidati chiamati a ricoprire le cattedre di economia politica e di diritto tributario. Ai sensi della legge sulla stampa e riservandomi le azioni più efficaci e opportune nelle sedi competenti intendo precisare:
La clausola della consegna "a mano" è esclusivamente quella di eliminare qualsiasi incertezza riguardo alla data di scadenza della presentazione della domanda, dei titoli e delle pubblicazioni.
La procedura concorsuale di cui si tratta riguardava non l'attribuzione di una idoneità o la nomina a professore ordinario, ma la domanda di trasferimento a Roma Tre di cattedratici già di ruolo in altre sedi universitarie giudicata da un collegio di oltre 30 professori ordinari di indiscusso valore.
Per quanto riguarda il diritto tributario, il mancato aggiornamento del curriculum del vincitore su internet è privo di qualsiasi rilievo scientifico e didattico, poiché la valutazione della facoltà doveva basarsi solo sulla documentazione prodotta dai candidati.
Professor Carlo M. Travaglini
Caro direttore, mi trovo citato nell'articolo di Perotti dell'11 Dicembre 2009 («All'università tanto arsenico e vecchi concorsi»), in un contesto gravemente lesivo della mia dignità. Mi capita di avere una compagna economista, come lo sono io e come capita a tanti in una professione. Proprio per questo abbiamo evitato religiosamente che vi fosse una intersecazione, anche la minima, nelle nostre vite universitarie, e d'altra parte la mia compagna (ordinaria dal 1995) ha un curriculum di livello, ricchezza e riconoscimenti (internazionali) tale da non aver certo bisogno di altre forze che le proprie. Il contesto in cui mi trovo citato parla di nepotismo e criteri politici. A parte la gratuità denigratoria (di cui Perotti risponderà in sede civile con ampia facoltà di prova), mi sorprende l'ingenuità di chi pensa che chi era parlamentare 10 anni fa ed è da anni fuori dalla politica attiva, o chi per scelta non è più stato da anni commissario di concorsi a cattedra o per associati (e appartiene ad altra università), possa avere tale influenza su una facoltà chiamata a scegliere tra quattro candidati (e che decide all'unanimità, a parte tre voti), da far pensare a scelte nepotistiche o attuate con criteri politici (tra l'altro traslati, visto che la mia compagna non ha mai fatto politica).
Professor Salvatore Biasco
Risponde Roberto Perotti
I concorsi in Italia si chiamano "valutazioni comparative": dovrebbero confrontare la produzione scientifica dei candidati, e scegliere il migliore. Il giudizio ha inevitabilmente una componente soggettiva; l'unico modo per minimizzarla è di attuare il principio della "peer review" cioè il giudizio della comunità scientifica internazionale. Questo principio è stato violato in modo egregio nella vicenda di Roma Tre, a partire dalla clausola della consegna a mano che eliminava a priori migliaia di potenziali concorrenti, e continuando con un esito che ha ignorato protervamente la enorme differenza nella produzione scientifica tra la vincitrice e alcuni dei candidati. Biasco e Travaglini evitano accuratamente di rispondere su questo terreno, l'unico rilevante per smontare le mie tesi. Come ho già scritto nell'articolo del 12 dicembre, le mie riflessioni non sono dettate da animosità personale verso persone che non conosco, ma dal desiderio di affermare questo principio generale. E mentre posso simpatizzare con parte delle riflessioni di Biasco (purtroppo in queste vicende si può esser coinvolti anche senza un'attiva partecipazione personale), lascio al lettore giudicare la plausibilità delle affermazioni di Travaglini.