La tragedia più recente di questa nazione è stata innescata dal terremoto, ma le sue radici non sono da ricercare dieci chilometri sotto la superficie terreste, bensì in due secoli di sventure che hanno perseguitato il paese caraibico, e nell'incapacità della comunità internazionale e dei leader nazionali di aiutare il paese nell'ultimo quindicennio.
In tutta la sua storia di arretratezza, forse il più grande momento di speranza di Haiti dal giorno dell'indipendenza è arrivato appena 15 anni fa. Allora, l'America finalmente si interessò al suo vicino prossimo, a seguito di una crisi politica che, grazie in parte al nostro intervento, era sfociata nella fuga di un dittatore la cui famiglia aveva oppresso e violentato l'isola, e nella sua sostituzione con un prete misurato, salutato da molti negli Stati Uniti come il Mandela delle Americhe. Come si scoprì poi, Jean-Bertrand Aristide non era affatto quel santo che star di Hollywood e giornalisti sognatori pensavano.
Ma noi dell'amministrazione Clinton questo allora non lo sapevamo. Impegnammo migliaia di soldati e miliardi di dollari nel paese caraibico. Offrimmo l'opportunità di attingere a risorse finanziarie concrete, stanziate da noi e dalla comunità internazionale. Addestrammo la polizia e costruimmo scuole. Mi assegnarono l'incarico di aiutare a guidare gli sforzi dei vari organi del governo americano incaricati di fornire assistenza alla ripresa economica di Haiti. Organizzammo una missione commerciale di esponenti del mondo delle imprese per studiare le opportunità di investimento ad Haiti. Cercammo di individuare progetti particolarmente promettenti (quelli che potevano portare la rete telefonica in 70mila villaggi che ne erano sprovvisti, o la luce o l'acqua a milioni di persone).
Ma abbiamo commesso errori gravi. Il primo è stato di non capire che personaggio fosse Aristide. Inoltre, il paese mancava di quella che comunemente viene chiamata capacità di assorbimento, cioè la capacità di ricevere effettivamente e usare in modo produttivo tutto quello che gli offrivamo. L'amministrazione pubblica era carente. Alcuni erano corrotti. Aiutare Haiti non era facile.
L'interesse della comunità internazionale si affievolì. Col tempo lo slancio che sosteneva gli sforzi di ripresa è venuto meno e gli Usa hanno perso la volontà politica di assistere questo paese in difficoltà. Le buone intenzioni e un momento decisivo sono stati superati dagli eventi, e da un certo punto di vista è stato allora che è cominciata la tragedia di ieri. Con ogni dollaro revocato, con ogni programma cancellato, con ogni operatore umanitario spostato su un altro fronte, veniva annunciata la morte di qualcuno.
Il dipartimento di Stato e la Casa Bianca devono ripensare seriamente al modo di affrontare la questione degli aiuti umanitari e dello sviluppo. Haiti dovrebbe essere un caso di studio sul modo in cui le migliori intenzioni possono andare perdute. Dobbiamo individuare quei posti che sono più deboli e investire per prevenire le crisi.
Può sembrare banale. Ma l'urgenza è palese. Perché Haiti oggi dimostra alla perfezione che quasi sempre quello che si può fare per prevenire o gestire le scosse preliminari è più di quello che si può fare per le scosse di assestamento successive.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
*David Rothkopf è stato sottosegretario al Commercio di Bill Clinton