C'è un macigno grande quasi 100 miliardi di euro che pesa sulle banche italiane. È sempre più grande: sono tutti i crediti deteriorati in portafoglio. Erano 88 miliardi, come totale delle prime sei banche, al giro di boa di metà anno. Sono saliti a 94 a fine settembre. Ma soprattutto, con ormai buona parte dell'annus horribilis 2009 alle spalle, c'è un curioso andamento a forbice che si sta delineando. Se da una parte continuano a salire sofferenze e incagli, il che segnala continue tensioni nei prestiti concessi, allo stesso tempo diminuiscono le rettifiche sui crediti: 660 milioni di euro in meno in tre mesi.
Fino a metà anno, anche sulla scia della fase più acuta della recessione e della bufera finanziaria, le banche vedevano lievitare, abbastanza prevedibilmente, entrambe le voci nei loro bilanci. Ora, invece, tra le principali banche italiane si nota che le rettifiche hanno imboccato un trend discendente. E la dinamica è particolarmente evidente nel terzo trimestre: tra aprile e giugno, i sei maggiori istituti nazionali mostravano, a livello aggregato, 4,4 miliardi di rettifiche nette sui crediti. Ma nel terzo trimestre l'ammontare è, invece, sceso: a 3,75 miliardi. È un calo, marcato, del 15 per cento. I due colossi nazionali, Intesa Sanpaolo e UniCredit, hanno visto rispettivamente la voce contrarsi da 1,08 miliardi a 823 milioni e da 2,43 a 2,16 miliardi. A seguire Mps con le rettifiche scese da 400 a 351 milioni e poi Ubi Banca (da 235 a 197 milioni) e infine Bpm-Popolare di Milano (da 138 a 50 milioni). Unica banca, tra le più grandi, a muoversi controtendenza è il Banco Popolare che invece ha visto salire le rettifiche, passate da 137 a 174 milioni.
È il segnale della tanto attesa svolta? A prima vista, leggendo il numero in tandem coi risultati di conto economico (in molti casi gli utili sono tornati a salire dopo trimestri in forte calo), sembrerebbe di sì. Le banche stanno iniziando a fare meno rettifiche, perché, nota Ettore Pastore partner di A.T. Kearney e leader europeo per le financial institutions, stimano che l'economia ha toccato il fondo e nei mesi prossimi le condizioni macroeconomiche miglioreranno, come il recente dato sul Pil italiano (+0,6% nel terzo trimestre) lascerebbe ipotizzare. Ma, osserva l'analista di un broker londinese che chiede l'anonimato, attenzione ai facili ottimismi: «Gli utili visti nell'ultima settimana sono dovuti per lo più a operazioni di trading (movimenti su titoli e negoziazioni), figli esclusivamente del rally delle Borse negli ultimi mesi e non a un reale miglioramento della gestione industriale core». E c'è anche chi fa notare che le minori rettifiche siano dovute alla mancanza di risorse per spesarne di ulteriori dopo le batoste dei mesi scorsi.
Due giorni fa Corrado Passera il numero uno di Intesa Sanpaolo la più grande banca commerciale del Paese, parlando a Genova ha definito «mondiale» il problema della qualità del credito, precisando anche però che «l'Italia non è svantaggiata rispetto ad altri Paesi». Il costo del credito cattivo sta aumentando, ma per l'amministratore delegato, «in Intesa Sanpaolo entro i limiti previsti». È un dato di fatto che la prima ondata della crisi è stata solamente finanziaria e le banche italiane, le quali non hanno mai abusato dell'ingegneria finanziaria (rispetto agli istituti europei e americani) e non si sono riempiti di titoli tossici e spazzatura, hanno attraversato sostanzialmente indenni la tempesta. Ma, avverte lo stesso Pastore, le banche italiane sono, tra quelle europee, quelle più esposte nel business tradizionale (i prestiti) e molto meno sulla finanza strutturata (derivati e simili). Per questo, prosegue il consulente, le maggiori criticità arrivano adesso che la crisi dalla finanza "virtuale" si è spostata all'economia reale, investendo aziende e famiglie. E proprio questo è il punto cruciale: visto il portafoglio crediti delle banche italiane, l'andamento delle imprese diventa l'ago della bilancia. Se la recessione continuerà a gravare sui bilanci aziendali (con ricavi compressi, utili in caduta o addirittura perdite e debiti in aumento) si innescherà una pericolosa spirale negativa: le posizioni si deterioreranno ancora comportando un peggioramento dei ratios delle aziende che vedranno inaridirsi sempre più il fiume dei crediti. Questo a sua volta farà peggiorare l'andamento delle aziende stesse e le banche sarebbero costrette a svalutare ancora di più i crediti. Alcuni effetti sono già manifesti: per la prima volta in quasi venti anni in Europa il credito alle imprese è sceso invece che salire. Non succedeva dal 1992. «L'ammontare di crediti e partite dubbie dentro i bilanci delle banche - conclude Pastore – è ancora piuttosto imponente». La pulizia è dunque destinata a continuare e il peso sui libri contabili durerà ancora mesi. Per vedere una reale ed effettiva inversione nei bilanci delle banche occorrerà aspettare che l'economia torni a cresce15 novembre 2009