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Qualità dell'attivo ancora da primato

di Antonella Olivieri

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15 novembre 2009


Le banche italiane hanno una qualità dell'attivo decisamente migliore delle concorrenti europee: pochi derivati, pochi titoli tossici, leva inferiore (si intende, in termini relativi). Eppure le attuali misure di solidità, non rendono loro giustizia, dal momento che i ratio patrimoniali sono invece inferiori alla media continentale. L'illusione ottica, a sfavore degli istituti tricolori, si spiega con il fatto che le banche italiane sono molto più esposte delle altre al business tradizionale dell'intermediazione creditizia e, per converso, più al riparo dalle insidie della finanza innovativa.
Dallo studio R&S-Mediobanca sulle maggiori banche europee, aggiornato al 30 giugno, emerge infatti che per i due campioni nazionali, Intesa Sanpaolo e UniCredit, gli impieghi verso la clientela rappresentano all'incirca il 60% del totale dell'attivo, ben oltre la media continentale che è inferiore al 43%. Per contro le altre attività, voce che ricomprende essenzialmente gli strumenti derivati, contano solo per il 10,7% dell'attivo nel caso di Intesa e l'8,9% nel caso di UniCredit, vale a dire solo un terzo rispetto al 28,1% che rappresenta la media dei big europei. Ma ancor più clamoroso è il confronto sugli asset illiquidi, che vede le attività di livello 3 per le due italiane al 5,5% e 5,9% del patrimonio netto, contro il 180,6% di Deutsche Bank, il 116,5% di Credit Suisse o il 94,1% di Ubs. Di conseguenza la leva finanziaria, per le due maggiori banche italiane è "solo" di 24 e 27 volte, contro le 67 volte di Deutsche o le 53 volte di Ubs.
Ma poichè è il rischio di credito a farla da padrone nei parametri di vigilanza (non a caso le misure tradizionali sono oggetto oggi di serie riflessioni da parte delle autorità), le banche italiane sono costrette a vincolare, in termini relativi, più capitale delle altre. Se in Europa ogni tre euro di attivo, uno è rilevante ai fini della vigilanza (richiedendo una copertura minima di 8 centesimi), in Italia il rapporto è di due a uno. Tutto ciò si riflette in coefficienti di solvibilità e tier 1 più modesti rispetto al contesto europeo: 11% il primo per le otto maggiori banche italiane, due punti in meno della media continentale; 7,5% il secondo contro la media del 10 per cento.
Banche italiane promosse, dunque, a dispetto dei ratio patrimoniali? In realtà un lato debole c'è, e riguarda proprio l'attività tradizionale. Incagli, sofferenze e crediti ristrutturati per le otto maggiori banche italiane (Intesa, UniCredit, Mps, Popolare Emilia, Bpm, Banco Popolare, Mediobanca e Ubi) sono aumentati del 24,5% nel semestre, ma gli accantonamenti sono stati adeguati solo del 14,6%. Un ruolo lo gioca anche il trattamento fiscale, ma il risultato è che i crediti a rischio sono coperti per meno della metà: il 45% contro il 54% dei big europei. Un riflesso del minor grado di copertura – ma anche della prassi di mandare a perdita meno rapidamente i crediti dubbi o di ricorrere meno frequentemente alle cartolarizzazioni – è la percentuale di crediti dubbi sul totale degli impieghi alla clientela, che per il sistema italiano si attesta al 4,5% contro l'1,9% della media europea.

15 novembre 2009
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