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Titoli tossici a 1.400 miliardi

di Morya Longo

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15 novembre 2009


Le Borse hanno messo a segno un rally poderoso. La fiducia è tornata. Le banche hanno iniziato a macinare utili miliardari. Ma i titoli «tossici» – quel miscuglio di finanza e spregiudicatezza che fino a pochi mesi fa terrorizzava il mondo intero – sono ancora lì: nei bilanci delle banche. Il fardello è diminuito rispetto a un anno fa (tante banche l'hanno ridotto anche del 20-30%), ma a livello aggregato si tratta tuttora di una montagna gigantesca: 1.437 miliardi di dollari, secondo la banca dati di Bloomberg che comprende 827 istituti di credito mondiali. Cifra paragonabile al Pil del Canada. Eppure questa montagna oggi non terrorizza più nessuno. Un po' perché le banche, come detto, l'hanno lievemente ridotta. Un po' perché le riforme in extremis delle regole contabili, sia in Europa sia in America, hanno permesso di tamponare le perdite. Un po' perché il rally delle Borse ha permesso agli istituti di credito di realizzare abbondanti utili e di rimarginare (o nascondere) tante ferite. La sensazione è che la polvere sia stata messa sotto il tappeto, ma per ora nessuno sembra preoccuparsi.
Andiamo con ordine. Quelli che per mesi sono stati chiamati titoli «tossici» dovrebbero in realtà essere definiti «illiquidi». Si tratta infatti di obbligazioni o di altre attività che dal 2007 non hanno più avuto un mercato, dunque non hanno più avuto alcun prezzo: a volte perché sono titoli complessi (per esempio le obbligazioni create impacchettando altre obbligazioni o derivati), a volte perché non sono trasparenti. Le banche, non potendo iscriverli in bilancio al valore di mercato (per il banale motivo che non esiste mercato per questi titoli), li valutano con meri modelli matematici. E poi li inseriscono in un capitolo del bilancio chiamato «livello 3». Ebbene: per mesi, nei momenti bui della crisi, la parola «livello 3» era diventata sostanzialmente sinonimo di «spazzatura». Oggi nessuno (o quasi) la guarda più.
Eppure ci sono banche che hanno titoli nel «livello 3» (dunque illiquidi o tossici) per un ammontare quasi doppio al loro patrimonio netto. È il caso, per esempio, di Deutsche Bank. Secondo i calcoli effettuati da Mediobanca, il gruppo tedesco a giugno 2009 aveva attivi di «livello 3» pari a 64 miliardi di euro: in calo del 27% rispetto a fine 2008, ma pur sempre pari al 180% del patrimonio netto. Anche un colosso come Citigroup – secondo i documenti depositati presso la Sec – ha ridotto i titoli illiquidi dai 154 miliardi di dollari di un anno fa ai 103 miliardi del terzo trimestre 2009. Ma tutt'oggi questa montagna rappresenta circa due terzi del patrimonio netto ed è pari all'intero patrimonio tangibile della banca. Non briciole. Idem per JP Morgan (che ha ridotto i titoli illiquidi a 127 miliardi, a fronte di un patrimonio netto di 162) e Goldman Sachs (50,5 miliardi di titoli illiquidi). Insomma: la zavorra è un po' diminuita, ma resta tuttora pesante.
Allora perché nessuno se ne preoccupa? Per vari motivi, sostengono gli esperti. Uno: i nuovi principi contabili (più benevoli) hanno reso meno devastante l'impatto in bilancio. Due: le banche sono tornate a fare utili, grazie al rally delle Borse e ai tassi d'interesse a zero. Tre: la fiducia generale ha permesso alle stesse banche di raccogliere capitale sul mercato e di rendere alcuni di quei titoli più liquidi. Citigroup, per esempio, da gennaio a settembre ha tolto 6,2 miliardi di dollari di titoli dal «livello 3» semplicemente perché sono tornati più o meno liquidi. Nello stesso arco di tempo ha realizzato una lieve plusvalenza sull'intero pacchetto di titoli tossici, di 800 milioni di dollari. Ha invece perso 6,5 miliardi di dollari – da gennaio a settembre 2009 – Goldman Scahs, a causa di svalutazioni di questo portafoglio.
Ma guadagnare o perdere su un portafoglio che non ha prezzi è un puro gioco contabile. Un artifizio, che rischia di diventare un boomerang se un giorno le Borse dovessero scendere. Il problema è un altro: che questi titoli sono ancora nei bilanci bancari. E il paradosso è che ormai sono le stesse banche a non volerli vendere. In Usa il governo ha per esempio implementato numerosi piani di salvataggio per permettere alle banche di scaricare questi titoli. L'ultimo, che coinvolge anche investitori privati, si chiama Ppip: ad oggi ben 7 fondi si sono attrezzati, con il supporto pubblico, per comprare titoli tossici dalle banche. Ma, per ora, nessuno li vuole vendere per evitare eventuali perdite al momento della cessione. E, in fondo, perché quel «livello 3» – quella polvere sotto il tappeto – non disturba più nessuno. Fino alla prossima crisi...

15 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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