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IDEE / La lezione di Bob Dylan e gli operatori della finanza

di Mario Deaglio

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15 ottobre 2009

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Cominciavano peraltro a manifestarsi voci che descrivevano in termini pessimistici l'inclinazione – e quindi la lunghezza – del tratto DE: in sostanza, dopo una caduta rapida si potrebbe assistere a una ripresa lenta, molto lenta. Nella migliore delle ipotesi, le stime di inizio autunno 2009 mostrano che i livelli pre- crisi (punto E) saranno raggiunti dai maggiori paesi nella seconda metà del 2010; con ipotesi più realistiche, occorre attendere il 2011. E solo quando si raggiungerà il puntoE si potrà veramente dire di avere annullato, in termini generali, gli effetti negativi della crisi dal punto di vista della produzione, in quanto si sarà tornati al livello produttivo precedente; il "costo" della crisi in termini di mancata crescita potrà allora essere misurato come la differenza tra il livello AE e il profilo inferiore ABCDE corrispondente alla produzione effettivamente realizzata.

Siccome la popolazione nel frattempo sarà aumentata, ci vorrà altro tempo per riportare il Pil per abitante al livello a cui era. E ulteriore tempo per realizzare una produzione aggiuntiva fino a compensare la minor produzione del periodo di crisi. La crisi, insomma, è una gran brutta bestia e deve passare molta acqua sotto i ponti perché si possa affermare che tutti i suoi effetti sono stati neutralizzati.

Non è possibile affermare che, arrivati all'estate del 2009, più della metà dell'acqua della crisi fosse già passata sotto i ponti. Per quanto non siano mancati segnali di attenuazione dei sintomi negativi, i segnali di ripresa produttiva non appaiono ancora generalizzati. E, anche se relativamente improbabile, non può essere del tutto scartata la possibilità di una nuova accentuazione della caduta produttiva: uno sguardo ai comparti dell'economia reale all'inizio dell'estate 2009, con la bancarotta della General Motors e le pessime notizie dai settori dell'auto, del trasporto aereo e di molti beni di consumo, non consente di escludere che la crisi prenda il percorso indicato nella figura con il tratteggio che passa per C 1, segnalando una ripresa della caduta e dunque spostando in avanti nel tempo i punti D ed E, rispettivamente a D 1 ed E 1.

Si tratterebbe di una "recessione a W" ( double- dip recession ) il cui rischio è stato ripetutamente segnalato da Nouriel Roubini, l'unico economista americano ad avere accuratamente previsto gli andamenti finanziari durante la crisi. Semplificando al massimo, per Roubini, come per altri economisti, i governi si trovano tra l'incudine della deflazione e il martello dell'inflazione: se adottano la cosiddetta
exit strategy, ossia applicano una dose appropriata di severità fiscale dopo aver inondato il mondo di liquidità per salvare le banche, non vi sarà sufficiente forza nella ripresa della domanda, che potrebbe uscirne soffocata. Se invece non adottano alcuna exit strategy,
sarebbero i mercati finanziari a "punire" i governi riducendo il prezzo al quale sono disposti a scambiare un debito pubblico mondiale divenuto assai dubbio.

In questo modo, la svalutazione del debito pubblico "ripulirebbe" i bilanci statali e ridurrebbe i patrimoni investiti in titoli di debito, ma consentirebbe alle economie di ripartire. Una cura, peraltro, estremamente brutale, con qualche analogia con quanto successe negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale soprattutto in Germania e in Italia.
Su questa linea, in termini espliciti e duri, va segnalato l'intervento del 94enne premio Nobel Paul Samuelson, in un articolo pubblicato su La Stampa. Samuelson afferma, tra l'altro, che «oggi gli studiosi di macroeconomia sono poco preparati per evitare i crack post-2007. Continuano a blaterare di trasparenza e di obiettivi d'inflazione, non si accorgono che Roma sta bruciando. Quello che più serve ora è dare impulso alle spese di impatto immediato.
Adesso è troppo tardi per programmare spese a medio e lungo termine, per esempio nei lavori pubblici ».

Va peraltro considerata la possibilità che le cure messe in atto, pur con tutte le loro debolezze, risultino efficaci. Si realizzerebbe così uno scenario che è stato definito quickfix (rimedio rapido), benché, con il passare dei mesi, appaia un po' meno quick . Esso parte dal presupposto che, dopo tre-cinque trimestri di recessione dell'economia reale, le Borse si rianimino; la creazione di risorse finanziarie che ne risulterebbe sarebbe sufficiente a dare fiato alla domanda. In una variante di quest'ipotesi, a tale domanda darebbero un contributo fondamentale i nuovi settori industriali legati alle energie alternative, secondo i programmi dell'amministrazione Obama, nonché la perdurante crescita dei paesi emergenti, toccati da un semplice rallentamento e non da una vera e propria caduta produttiva.

L'ipotesi quickfix ha portato gli analisti finanziari e altri osservatori congiunturali a una ricerca frenetica degli indizi di una ripartenza dell'economia reale; tale ricerca ha permesso d'individuare soprattutto segnali di un rallentamento della caduta produttiva ma, a tutto il secondo trimestre 2009, mancavano ancora chiari segnali di inversione. Né essi erano discernibili nella calura d'agosto. L'aspettativa di tale inversione ha fatto sì che il discorso, venato di estrema cautela, del governatore Bernanke del 21 agosto fosse sufficiente a infiammare le Borse, scatenando un clima di euforia. Ammettendo che l'inversione si verifichi tra ottobre e dicembre 2009 nelle economie maggiori, va osservato che, nel corso del 2009, in ogni caso le stime sulla robustezza della ripresa che ne deriverà sono venute attenuandosi; la prospettiva di una ripresa "pallida", benché possibilmente duratura e in grado di divenire meno esangue nel corso del 2010, riscuote la maggioranza dei consensi in campo finanziario. Questo ha come conseguenza che le Borse debbano anticipare l'economia reale.
  CONTINUA ...»

15 ottobre 2009
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