Se gli Stati Uniti - e Gran Bretagna, Irlanda, Spagna e altri ancora - stanno pagando il prezzo pesante dell'eccesso di consumi privati e d'indebitamento privato dal 2000 in poi,l'Italia,uscita meno peggio del previsto dal fatidico 2007-2009, continua a pagare il prezzo del pesantissimo eccesso di consumi pubblici e indebitamento pubblico del 1982-1992. È un peso pregresso valutabile in 15 miliardi annuali in meno diPil.Non consente all'Italia diaffrontare la crisi come invece il basso indebitamento delle famiglie e la relativa tenuta del suo sistema bancario in teoria consentirebbero. Le conseguenze del 2007-2008, rallentando tutti, rendono il caso italiano meno anomalo. Ma fino a che punto lo peggiorano?
Spesso paragonata a un calabrone nero (xylocopa), l'imenottero che vola sfidando le leggi fisiche, l'economia italiana sta riducendo la crescita da tempo. Ci sono, pur nella differenza delle dimensioni e delle situazioni, alcune analogie con il caso americano, sostiene nell'analisi del Centro Einaudi l'economista Giuseppe Russo, che insieme a Giorgio Arfaras ha curato la parte più italiana. Se il sistema americano è stato ed è ancora in bancarotta, con la finanza di Wall Street e il sistema bancario nel suo complesso salvati dalla garanzia del contribuente, anche l'Italia ha avuto la sua bancarotta eccellente, ma "nascosta" e 20 anni fa. Il risultato è che l'economia italiana, secondo Russo, ha accumulato quanto a Pil un ritardo di 10 punti sul resto d'Europa e di 15 sugli Stati Uniti. Negli Usa la situazione è stata salvata con la creazione di debito pubblico in proporzioni che presto saranno analoghe soltanto a quelle della Seconda guerra mondiale, cioè vicine e oltre il 100% del Pil.
In Italia, dove il debito di queste proporzioni era già stato creato, il pericolo della bancarotta «è stato scongiurato con l'ingresso nell'euro» e l'adesione a regole più rigide. «Da allora il Pil si è inserito su un sentiero di inevitabile bassa crescita, senza le oscillazioni violente del riequilibrio americano». Negli Usa le perdite delle famiglie, sui valori immobiliari e sui risparmi, sono state calcolate su dati della Federal reserve (da Christina Romer, capo dei conmsiglieri economici della Casa Bianca) in circa 15mila miliardi di dollari, pari da dicembre 2007 a dicembre 2008 al 17% del patrimonio, solo per 4 o 5 punti recuperato ora con il migliore andamento di Borsa. Restiamo comunque a valori molto superiori a quelli del primo anno del '29 (settembre ' 29-dicembre '30)quando la perdita delle famiglie grazie alle forti oscillazioni di Borsa e alla stabilità immobiliare fu appena del 3 per cento.
In Italia, dicono stime del Centro Einaudi su dati della Banca d'Italia, le perdite sono state ora dell'8 iniziale ridotto al 3 dalla ripresa borsistica. I valori immobiliari inoltre hanno tenuto. Nonostante questo, e per il meccanismo psicologico delle aspettative, oltre che per il più difficile andamento del mercato del lavoro, molti consumi- e i consumi valgono oltre metà del Pil hanno subìto una brusca frenata. Questo non giustifica però un calo del 6% del Pil se non vi fosse stato il contagio da mercati globali. Il calo delle esportazioni spiega metà della cifra, i minori investimenti il 2,7%, e la riduzione delle scorte lo 0,6 per cento. «In Italia la stabilizzazione finanziaria della crisi è stata raggiunta in modo relativamente semplice, visti i minori problemi del sistema bancario e l'inferiore esposizione del paese ai rischi dei mercati», tra cui si può aggiungere il basso indebitamento estero e un debito totale privato inferiore a quello di molti paesi. Un meno 6% del Pil tuttavia è un duro colpo. Impone ristrutturazioni. E più disoccupazione.
La fine della recessione si sta profilando. Ma la vera ripresa non può venire dal ritorno al modello precedente, già in crisi, di un «calabrone sempre più appensantito e lento». Bensì «dal cambiamento di tanti e non piccoli elementi obsoleti della struttura economica». La gestione del debito pubblico ha fatto un passo indietro di sette anni e si è ben alzata l'asticella del 100%del Pil che renderebbe più facile la gestione; i fondi pubblici per gli investimenti scarseggiano; la formazione del capitale privato stenta a promuovere l'innovazione; la popolazione invecchia; l'immigrazione nonè sufficientemente selettiva;la scuola e l'università non tengono il passo internazionale; la società civile non sempre è all'altezza di un paese moderno. Il calabrone ha avuto un po' di fortuna, da ultimo, ma continua il suo pesante ronzio, e non vola.