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Ma la relativa docilità del grosso dei lavoratori sulle problematiche del commercio internazionale va attribuita, in ultima analisi, a qualcosa di completamente diverso: le reti di sicurezza messe in piedi dai sistemi di welfare. Le moderne società industriali ormai offrono un vasto campionario di protezioni sociali - sussidi di disoccupazione, programmi di reinserimento e altri strumenti d'intervento sul mercato del lavoro, oltre alle cure sanitarie e al sostegno della famiglia - che affievoliscono la domanda di forme di protezione più grossolane.
Lo stato sociale è l'altra faccia dell'economia aperta. Se il mondo non è precipitato nel baratro del protezionismo durante la crisi, come successe negli anni 30, gran parte del merito va attribuito a quei programmi sociali che la destra e i fondamentalisti del mercato vorrebbero mandare in pensione.
La battaglia contro il protezionismo è stata vinta, per il momento. Ma prima di abbassare la guardia ricordiamoci che non abbiamo ancora affrontato la sfida centrale con cui l'economia mondiale dovrà fare i conti mano a mano che la crisi si affievolirà: lo scontro inevitabile fra la necessità della Cina di produrre una quantità sempre più alta di prodotti lavorati e la necessità dell'America di ridurre il deficit della bilancia corrente. Sfortunatamente, ci sono pochi segnali che inducono a pensare che le autorità siano pronte ad affrontare questa minaccia concreta.
Copyright: Project Syndicate, 2009
(Traduzione di Gaia Seller)