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Il Quarto Stato oggi si chiama Pmi

di Valerio Castronovo

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15 ottobre 2009

Oggi il "quarto capitalismo", quello delle microimprese, corre lo stesso pericolo di quello delle grandi famiglie e della mano pubblica che, sul finire degli anni 70, sembrava sul punto di tirare le cuoia fra i marosi dell'inflazione, le secche della stagnazione e le derive di una conflittualità operaia endemica. Ma poi a salvarlo dal collasso erano allora sopraggiunte, come è noto, una miriade di piccole e piccolissime aziende, tanto alacri che silenziose come le formiche, spuntate dai meandri dell'economia sommersa e dai suoi dintorni.

Si gridò così al miracolo o s'inneggiò, più prosaicamente, alla nostra proverbiale arte d'arrangiarci. Ma adesso non si vede quale potrebbe essere l'ancora di salvataggio per le piccole imprese, se non una politica industriale efficace e tempestiva, che tuttora manca o è largamente insufficiente.

D'altra parte, all'eccezionale espansione di molte microimprese contribuirono, a suo tempo, due fenomeni oggi irripetibili, uno di carattere economico, l'altro di matrice sociale. Da un lato, vari grandi complessi, per contrastare l'aumento dei costi di lavoro, dovuto a ricorrenti rivendicazioni sindacali e ai vincoli imposti nell'organizzazione del sistema di fabbrica, ricorsero al trasferimento all'esterno di alcuni segmenti della produzione che potevano essere tecnicamente decentrati, in quanto non richiedevano di norma l'impiego di grossi macchinari o di impianti particolarmente sofisticati. Dall'altro, esisteva in provincia e in centri urbani minori uno strato di artigiani e di esercenti, di figli di mezzadri e di fittavoli, con un po' di soldi da parte, che intendevano mettere su una fabbrichetta in proprio, animati com'erano da un forte spirito d'iniziativa e da una gran voglia di emergere, e perciò con una singolare capacità di adattamento al mutare delle convenienze e delle opportunità di mercato. C'erano inoltre cospicue frange di popolazione (fra giovani, donne e anziani) disposte ad accontentarsi di remunerazioni più basse e, all'occorrenza, anche una certa quota dei lavoratori regolari interessati a integrare i loro proventi con un doppio lavoro svolto in forme saltuarie.

15 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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