Il bizzarro spettro delle elezioni anticipate è tornato ad affacciarsi sulle nevrosi della politica italiana.Ha fatto da sfondo alle ultime uscite del presidente della Camera, assai critiche verso Berlusconi, e ha accompagnato gli aspri attacchi mossi da Casini alla Lega. Come è ovvio, chi ha evocato il tema elettorale – ossia ambienti vicini al presidente del Consiglio – ha inteso mettere sull'avviso i due personaggi, lasciando intravedere la resa dei conti.
Se si tratta di una minaccia, occorre rilevare che non è credibile. Mai come oggi, l'ipotesi di elezioni anticipate è priva di fondamento politico e istituzionale. Sul piano generale, la crisi economica sconsiglia in modo assoluto il ritorno alle urne e impone invece al governo di usare in modo assennato la larga maggioranza di cui dispone. Del resto, non ci sono segnali che tale maggioranza sia in procinto di spaccarsi. La Lega è più che mai fedele al centrodestra, sul quale ha investito molto. Fini non controlla truppe parlamentari, visto che ha perso a vantaggio di Berlusconi buona parte dei suoi seguaci di un tempo. Il fatto che muova rilievi alla politica dell'esecutivo non è di per sé una buona ragione per riportare gli italiani a votare. Quanto a Casini è già collocato all'opposizione e quindi l'idea del voto non può disturbarlo più di tanto.
Il secondo motivo per cui lo scenario è comunque irrealistico è che Berlusconi, se pure lo volesse, non avrebbe oggi la forza per ottenere lo scioglimento del Parlamento. Essendo questa una prerogativa indiscutibile del presidente della Repubblica, è chiaro che Napolitano non avrebbe alcuna ragione per assecondare l'eventuale piano. Al contrario, sarebbe tenuto a verificare se nelle Camere esiste una maggioranza contraria allo scioglimento. E al momento, a poco più di un anno dall'inizio della legislatura, non c'è dubbio che questa maggioranza esiste. Se ne rende conto lo stesso Calderoli, uomo di buon senso, che ha definito fuori della realtà l'ipotesi delle urne. Tanto più se la minaccia si risolvesse in un "boomerang" e la Lega finisse per trovarsi isolata.
In fondo è a questo che si riferiva Casini, quando ha alluso a un Parlamento in cui, in caso di necessità, sarebbe possibile identificare una maggioranza senza i leghisti.
Non sarebbe una maggioranza "politica", una sorta di grande coalizione anti-Bossi (o magari anti-Berlusconi...): una tale eventualità è esclusa con forza e peraltro risulterebbe irrealistica. Più semplicemente sarebbe un modo per comunicare al Capo dello Stato che il Parlamento non vuole essere sciolto.
Tanto basta per accantonare l'ipotesi delle elezioni, inquadrandola come uno strumento retorico usato per colpire i critici del premier, ma privo di consistenza. Berlusconi dovrà convivere nei prossimi tempi con le tensioni del centrodestra, oltre che con le conseguenze del personale logorìo subito nel corso dell'estate. Nessuno può vietare a Casini, a Fini e a tutti gli scontenti, ovunque si trovino, di immaginare il futuro e di cominciare a costruirlo, sia pure in modo ancora confuso.
La risposta dell'esecutivo, come sempre, sarà misurata sulla capacità di rispondere ai problemi del paese. È qui che Berlusconi dovrà dimostrare che la sua leadership è ancora solida. La tentazione della vendetta contro oppositori e critici è pericolosa quanto inutile. Ma fino a oggi il presidente del Consiglio ha dimostrato di essere realista nei passaggi cruciali. Un conto sono le parole, un altro i fatti. Sarà prudente anche stavolta.