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NON SOLO NUMERI / Il benessere non è solo Pil parola di Joseph Stiglitz

di Leonardo Martinelli

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15 Settembre 2009

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Del resto, non è nemmeno plausibile contemplare l'idea di misurare la sostenibilità limitandoci esclusivamente a rivolgere domande in proposito alla gente, come talvolta si è propensi a fare per valutare il benessere di quel preciso momento. Simili domande riguardanti le prospettive individuali o globali sono rivolte di frequente, e le risposte sono evidentemente interessanti. Per esempio, secondo l'Eurobarometer Survey condotto nel 2006 per la Commissione europea, il 76% degli intervistati francesi dichiarò di prevedere una vita molto più difficile per i propri figli rispetto alla propria, contro soltanto un 8% che si espresse al contrario. Tali messaggi sono interessanti in ragione del loro significativo contrasto con le proiezioni standard a lungo termine del Pil/procapite sull'estrapolazione dei trend di produttività del momento. Essi rafforzano la convinzione che misurare la sostenibilità è un problema reale, ma naturalmente non forniscono un misuratore della sostenibilità stessa. Si limitano semplicemente a valutare quantitativamente le sensazioni o le idee riguardanti la sostenibilità. È chiaro che dobbiamo andare oltre: ciò che ci aspettiamo dalla statistica è che permetta di andare oltre tali percezioni soggettive o queste sensazioni legate al quotidiano.
Tutto ciò equivale a dire che è categoricamente impossibile rispondere alla domanda nello stesso modo in cui si fa usualmente con le statistiche contabili o sociali. A servire davvero sono le proiezioni, e non soltanto quelle dei trend tecnologici o ambientali, ma anche le proiezioni di come esse interagiranno con le forze socio-economiche o perfino politiche. Così prospettata, la sfida è immane. In pratica, le ambizioni rimarranno più contenute, per esempio fornendo soltanto cifre per segnalare un rischio di insostenibilità qualora i trend o i comportamenti del momento dovessero protrarsi. Ma anche questo va ben al di là del normale lavoro degli statistici e/o degli economisti, in quanto richiede un ambito di competenze ed esperienze più ampio di quello necessario per le consuete attività contabili.

2. Analizzare le questioni normative
Il coesistere di diverse valutazioni sulla sostenibilità può riflettere non soltanto diverse previsioni su quello che sarà il futuro, ma anche diverse opinioni in relazione a ciò che importerà davvero un domani per noi e per i nostri discendenti. Mettiamola così: in linea di principio, tutti dovrebbero concordare sull'idea che sostenibilità significa preservare il benessere futuro. Ma la questione, a questo punto, diventa capire che tipo di benessere vogliamo esattamente sostenere. Alcuni potrebbero affermare che dovremmo soltanto garantire la continuità del Pil procapite. Altri potrebbero anche accettare di mantenere l'attenzione sul reddito monetario, ma vorrebbero che fosse data maggiore enfasi alla distribuzione inter-generazionale delle risorse, come il rapporto Brundtland ha fatto. Di conseguenza, costoro affermerebbero che dobbiamo cercare di sostenere il reddito monetario per i segmenti più poveri della popolazione e le implicazioni politiche di tutto ciò potrebbero essere assai diverse da quelle desumibili dal primo obiettivo. Altri ancora, infine, potrebbero volere che si desse importanza molto maggiore alla tutela di questo o quell'altro fattore ambientale, quale la biodiversità o la qualità del paesaggio o altro ancora.
Effettuare scelte in questo ambito ancora una volta esula dal normale lavoro o dalle normali responsabilità della statistica: sicuramente, gli addetti ai lavori possono aiutare a far luce sulle opzioni praticabili o aiutare a rendere l'indice correttamente operativo una volta presa la decisione in merito, ma in nessun modo possono presumere di definire fino in fondo e nello specifico gli obiettivi.

3. Valutare riferimenti globali
Abbiamo constatato che affrontare questa dimensione è di fatto una delle principali cause di divergenze tra i diversi approcci alla sostenibilità e spiega i risultati contraddittori di questi approcci diversi. Da un certo punto di vista, i Paesi maggiormente sviluppati sono i più sostenibili, perché possono destinare risorse consistenti e significative ad accumulare capitale, sia sotto forma materiale sia sotto forma di risorse umane. Non c'è invece di che sorprendersi scoprendo che molti Paesi meno sviluppati si trovano per ciò che concerne l'aspetto economico proiettati su traiettorie molto più fragili. D'altro canto, sono i Paesi sviluppati che spesso contribuiscono all'insostenibilità ambientale globale, quanto meno nella sua dimensione climatica.
Ciò che è necessario è considerare sinergicamente questi tre messaggi: tutti offrono valide motivazioni a favore di uno sguardo non monodimensionale della sostenibilità. Indubbiamente, buona parte dei dati e delle informazioni raccolte risulta ostica e di difficile interpretazione per l'opinione pubblica, ma cercare di fornire troppe informazioni in una successione alquanto ristretta di cifre, o addirittura con un unico numero, può nello stesso modo portare a perdere di vista importanti aspetti dei fenomeni che cerchiamo di cogliere.
Nel complesso, i problemi relativi alla misurazione della sostenibilità sono grandi, ma dobbiamo saper offrire soluzioni, a prescindere da quanto imperfette esse possano essere. E a tal fine prospettiamo qui di seguito cinque raccomandazioni.

Traduzione di Anna Bissanti

15 Settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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