Rho, ma anche Brera, via Tortona e centro storico. Il Salone del mobile di Milano edizione 2010 scende più che mai tra le strade, vi si perde e un po' disperde. Invade e penetra il territorio tra l'esposizione e gli eventi. Tutto bene, dunque? Non proprio. Per alcune aziende tutto questo ha un costo. Costano gli allestimenti, divisi tra il polo fieristico e la città.
Hanno un prezzo gli spostamenti tra un appuntamento e l'altro. Il territorio chiede dazio, e a pagarlo sono gli operatori, i buyer, insomma chi di queste cose ci campa. Per carità nulla da obiettare alla fantasia e alla creatività del FuoriSalone. Ma è come se in questi giorni a Milano si ripetesse su scala micro una dialettica tra centro e periferia che l'Italia conosce bene e in chiave nazionale. Il Salone si disperde per dare a ogni quartiere il suo esattamente come il Belpaese dei cento campanili non può vivere senza una (piccola) università in ogni sua città, un (piccolo) tribunale in ogni centro minore, un (piccolo) porto turistico anche a pochi chilometri da un altro. È lo strapaese che batte la stracittà, e che per dare a tutti un pezzetto manca il compito di dare massa critica allo sviluppo. È il territorio, bellezza, viene da dire. E pazienza se oltre che dare a ciascuno qualcosa costa anche molto a tutti.