Dal blitz britannico sui bonus dei banchieri - subito sottoscritto da Parigi e Berlino - alla nuova strigliata della Casa Bianca ai fat cats di Wall Street è trascorsa meno di una settimana. L'esito dell'offensiva d'inverno dei grandi leader globali contro le tecnostrutture finanziarie non è sicuro, ma lo sforzo è inequivocabile. Si tratti di tagliare i megastipendi, di farsi restituire gli aiuti pubblici, di premere sulle banche perché tornino a fare le banche a favore di imprese e ripresa, Brown, Sarkozy, Merkel e Obama riaffermano la loro leadership su un'exit strategy guidata da interessi reali e condivisi, non solo da quelli dei mercati da rilanciare. E se il progress di Basilea 2 si preannuncia come una verifica decisiva, è stato un bene che a denunciare tra i primi il rischio di equivoci sia stato proprio un banchiere dell'Europa continentale come Corrado Passera. Nessuno dubita che il superamento della crisi esiga il rafforzamento patrimoniale delle banche e nuovi strumenti anti-rischio. Ma confermare tout court - nel pieno di una recessione - un modello credito-impresa concepito ben prima del collasso dei mercati significa rinunciare a cercare nuovi equilibri - possibili, necessari - tra finanza ed economia produttiva.