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Krugman: che peccato l'euro

di Maria Luisa Colledani

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16 Febbraio 2010

Tutta colpa dell'euro, parola di Paul Krugman. Il premio Nobel, in un intervento sul New York Times, sottolinea che l'attuale fase d'incertezza ha radici profonde e lontane: inizia nell'unione monetaria della Ue, aggravata dalla «non flessibilità dell'euro».

Certo, continua Krugman, vanno considerati le irregolarità fiscali, gli spechi della classe dirigente ma bisogna valutare l'arroganza, la hubris, delle élite al governo: «Hanno creduto - scrive - che si potesse fare la moneta unica prima che il continente fosse pronto». Prima che l'unione diventasse realtà, Lucio Caracciolo aveva avvertito che sarebbe stata un'unione di tecnocrati. Oggi, al di qua dell'Oceano, Krugman trova consenso nelle parole di Marco Pagano e Riccardo Realfonzo, mentre Pietro Reichlin e Mariano D'Antonio fanno riflessioni diverse.

Il caso della Spagna è esemplare: prima della crisi sembrava un modello fiscale. Secondo il premio Nobel, il paese era una sorta di Florida d'Europa: rapida crescita, regole bancarie, il debito al 43% del Pil nel 2007 (in Germania era al 66%). Poi, è esplosa la bolla immobiliare, con una crescente disoccupazione. Se la Spagna non facesse parte dell'euro e gli spagnoli usassero ancora la peseta, il governo potrebbe pensare a una svalutazione della moneta nazionale: ora non è più possibile. Al paese iberico non resta che sperare in un lento processo di deflazione per riguadagnare competitività. E se - continua Krugman - la Spagna fosse uno stato americano e non un paese membro dell'Unione, la sua situazione sarebbe meno compromessa: avrebbe ricevuto sostegni automatici contro la crisi. Quando in Florida è scoppiata la bolla immobiliare, Washington ha continuato a inviare assegni d'assistenza sociale e sanitaria.

Ma la Spagna non è uno stato americano e la sua crisi è profonda. Ancor più grave quella della Grecia. «I greci - scrive nel suo intervento Krugman - sono stati fiscalmente irresponsabili: hanno coperto il bilancio con una contabilità a dir poco creativa».

Le colpe dell'euro, per lo studioso americano, non sono una sorpresa. Molto prima che diventasse la valuta di 330 milioni di persone, gli economisti avevano messo in guardia i politici: l'Europa non era pronta alla moneta unica. Questi moniti sono stati ignorati e la crisi è arrivata.

Ora è impensabile una divisione di Eurolandia. «C'è un'unica via per tentare di uscire dalle difficoltà - spiega Krugman -: l'Europa ha bisogno di unità politica, ha bisogno che i suoi stati funzionino come gli stati americani». Intanto, i prossimi anni saranno caratterizzati da una sopravvivenza difficile: salvataggi accompagnati da stringente austerità.

16 Febbraio 2010
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