Miracolo in vista a Montecitorio. All'unanimità, in commissione Attività produttive, si è deciso di discutere il tema dello Statuto per le imprese medie, piccole e micro (oggetto di proposte di legge di vari partiti) adottando come testo base il progetto del vicepresidente Raffaello Vignali (Pdl), primo firmatario di una proposta bipartisan intitolata «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese».
Se tutto filerà via come previsto, entro la primavera la Camera potrebbe approvare la legge e inviarla al Senato per l'approvazione definitiva. Se così fosse, a quarant'anni dalla nascita dello Statuto dei lavoratori, anche l'impresa minore, forza trainante della nostra economia, potrebbe avere il "suo" Statuto di diritti. Una svolta epocale in un paese dove la cultura d'impresa, schiacciata dal peso delle ideologie, ha fatto sempre fatica a emergere. E dove le piccole imprese, in particolare, si sono viste negare elementari diritti di cittadinanza.
Non che una legge, da sola, possa "creare" sviluppo. O che una serie di norme possano garantire, per il fatto di essere leggi dello stato, giustizia e innovazione. Quante volte è stato tradito o eluso un altro Statuto, quello del contribuente, nato nel 2000?
Tuttavia, la nascita di un Statuto per le imprese piccole e medie che ne definisce lo status giuridico segnala un cambio di passo a suo modo storico, che integra lo stesso articolo 41 della Costituzione in cui si afferma che l'iniziativa privata è libera ma, appena dopo, si fissano quei paletti dei «fini sociali» che hanno poi concimato un terreno d'azione misto di dirigismo e corporativismo.
Con la proposta Vignali si punta dichiaratamente al principio della sussidiarietà, allo «sviluppo della persona e della sua espressione attraverso il lavoro» e a una «effettiva concorrenza». Inoltre, il progetto dello Statuto fa riferimento esplicito all'iniziativa europea «Small Business Act» del 2008 che punta a creare condizioni favorevoli alla crescita delle piccole e medie imprese, piano che ricalca a sua volta lo Small Business Act americano (del 1953!) con il quale venne istituito un ente con l'esplicito compito di aiutare le piccole imprese.
Ma, soprattutto, con lo Statuto si afferma che «lo stato nelle sue articolazioni e la pubblica amministrazione sono al servizio dei cittadini e delle imprese» alle quali devono essere garantite «trasparenza delle regole, l'efficacia, l'efficienza, la tempestività e l'uniformità di trattamento». In particolare, per fare qualche esempio, le aziende, per ogni richiesta presentata alla Pa, hanno diritto a ricevere una risposta entro un termine massimo di 90 giorni. Agli imprenditori in stato di insolvenza «lo stato garantisce l'ottenimento di una seconda possibilità». Sempre lo stato, oltre a introdurre il «concetto d'imprenditorialità» come competenza chiave nei programmi scolastici e universitari, istituisce portali telematici per rendere trasparente e ampliare l'accesso all'informazione sugli appalti pubblici. Ancora, l'imposizione fiscale diretta e indiretta complessiva non può superare il 45% degli utili d'impresa e lo stato «non può pretendere la corresponsione di alcun versamento, qualora sia debitore dell'impresa a qualunque titolo».
Questo e molto altro. Più che una svolta, quasi una (vera) rivoluzione.