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Salvare la Grecia farà nascere la Ue

di Wolfgang Münchau

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16 Febbraio 2010

I primi passi sono sempre i più difficili. Forse la dichiarazione in favore del salvataggio della Grecia pronunciata la settimana scorsa dal Consiglio europeo non si è spinta tanto in là come sperava qualcuno, anzi è stata addirittura un passo indietro rispetto alla bozza approvata la sera prima. Ma resta comunque un evento di rilievo storico: per la prima volta la Ue ha riconosciuto la dimensione politica di Eurolandia e si è mostrata fermamente decisa a difendersi da attacchi speculativi. Al tempo stesso, Bruxelles è decisa a subordinare qualsiasi aiuto a una serie di condizioni, compresa una maggiore chiarezza - chiesta con forza ieri - sul fronte derivati (ndr. si veda pagina 2).
La reazione stizzita del primo ministro greco è la prova migliore del fatto che non dobbiamo preoccuparci troppo dell'azzardo morale. Se gli stati membri di Eurolandia compreranno i titoli di stato greci o si limiteranno semplicemente a garantirli è un dettaglio tecnico, ma con l'accordo politico raggiunto la settimana scorsa l'ostacolo più difficile è stato superato.
La mia previsione è che questa garanzia metterà fine alla fase acuta della crisi greca, sempre che il governo di Atene onori le sue promesse. Potrebbe essere utile anche per ridurre la pressione sugli spread Cds di altri paesi di Eurolandia. I dettagli tecnici inclusi nel pacchetto finale conterranno anche misure severe per evitare l'azzardo morale, e l'insieme delle misure sarà al tempo stesso generoso e spietato. Ma questa decisione, anche se è stata importante, non risolve i problemi di fondo della zona euro.
Soffermiamoci un momento sulla posizione della Germania in tutto questo. La reazione dei media tedeschi al salvataggio della Grecia ha sfiorato l'isteria. Perfino all'interno del partito di Angela Merkel ci sono punti di vista molto diversi. La cancelliera è anche vincolata dalla sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Maastricht, che a quanto sembra ha giocato un ruolo importante nel determinare la posizione assunta dal governo tedesco giovedì scorso. La Corte deliberava che la stabilità era un fondamento irrinunciabile per la partecipazione della Germania a un'unione monetaria: di fronte a una violazione di questo principio sarebbe venuto meno il presupposto legale per la partecipazione della Germania. L'articolo 125 del Trattato di Lisbona - la scellerata clausola "anti-salvataggio" - è un aspetto giuridicamente importante per la stabilità complessiva del sistema; e senza dubbio qualcuno sosterrà che salvare la Grecia equivale a violare questo articolo.
La sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona dello scorso anno ha aggiunto ulteriori ostacoli a un'efficace governance economica della zona euro: la Corte ha stabilito senza possibilità di fraintendimenti che la politica macroeconomica deve rimanere di competenza dei singoli stati membri. Naturalmente un giudice non è mai un interprete obiettivo della legge e si lascia sempre influenzare dai capricci politici del momento. E nemmeno tutti i giuristi tedeschi sono d'accordo con la Corte costituzionale. Però la sentenza è stata pronunciata e per ora è valida. Non dobbiamo farci illusioni sugli spazi di manovra della Germania sul piano politico e giuridico. Berlino è pronta a mostrarsi solidale verso i membri più deboli di Eurolandia, se questi dovessero essere presi di mira da un attacco speculativo. È stato un passo enorme per i tedeschi. Non aspettiamoci molto di più. La surreale discussione sul futuro di Eurolandia tende a ignorare i vincoli giuridici e politici. Un esempio è quello di chi sostiene che le banche centrali, non solo la Bce, dovrebbero prendere in considerazione di alzare gli obiettivi d'inflazione, attualmente intorno al 2 per cento. Non c'è pericolo che la Bce adotti questa proposta. Se lo facesse, la Corte costituzionale tedesca farebbe sicuramente valere la sentenza del 1993. E soprattutto, in un caso del genere l'opinione pubblica tedesca, che già ha ingoiato il rospo del salvataggio della Grecia, chiederebbe a gran voce l'uscita della Germania dall'euro.
La discussione sul futuro di Eurolandia deve quindi tener conto dei vincoli politici e giuridici. L'unione finanziaria non ci sarà e l'Unione europea non si imbarcherà nell'ennesimo ritocco dei trattati.
Che cosa si può fare nel contesto attuale? La prima priorità è affrontare gli squilibri interni. La Spagna e la Grecia hanno subìto una grave perdita di competitività nei confronti della Germania, situazione che bisognerà parzialmente invertire nel decennio entrante. Perfino adesso, il gap nel costo reale delle retribuzioni continua ad aumentare. Perciò, c'è bisogno di un meccanismo per coordinare le linee programmatiche che coinvolga i leader politici, oltre ai ministri dell'economia. La Spagna, il Portogallo, la Grecia e l'Italia devono riformare il loro mercato del lavoro, mentre la Germania va incoraggiata - entro i limiti fissati dalla sua Costituzione - a far crescere la domanda interna. L'emendamento costituzionale sul pareggio di bilancio approvato lo scorso anno non è stato d'aiuto da questo punto di vista. La speranza maggiore nei prossimi due anni verrà probabilmente dalla riforma fiscale che è stata promessa.
La seconda priorità è il risanamento dei bilanci. È una favola pensare che la crescita economica possa bastare da sola a risolvere l'indebitamento. I tassi di crescita in questo decennio probabilmente saranno ancora più bassi che in quello trascorso. In quasi tutti i paesi dell'eurozona, la strada migliore per risanare i conti non è aumentare le tasse, ma tagliare le spese.
  CONTINUA ...»

16 Febbraio 2010
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