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ilPUNTO / La fase finale di un conflitto da cui tutti usciranno sconfitti

di Stefano Folli

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16 marzo 2010

Si pensava che la campagna per regionali sarebbe stata avvelenata. Nessuno però immaginava quanto. Ora sappiamo di trovarci in un corto circuito a causa del quale le istituzioni rischiano il collasso. Sarebbe la degna conclusione di lunghi anni in cui il conflitto fra magistratura e potere politico (berlusconiano) si è fatto sempre più crudo, senza produrre mai una soluzione, ma solo ulteriori motivi di scontro e di logoramento. Fino alla marea d'intercettazioni con relative fughe di notizie che stanno sommergendo ogni parvenza di dibattito civile.

Berlusconi, che poche settimane fa aveva definito «talebani» i magistrati, una provocazione che non sembra avergli portato fortuna, oggi subisce i morsi della procura di Trani. Indagato per concussione e minacce, lapidato per l'ennesima volta sul piano mediatico, costretto a descrivere, per difendersi, il paradosso del suo naufragio: «È o no un diritto del presidente del Consiglio parlare al telefono con chiunque senza essere intercettato anche surrettiziamente?».
In questa frase detta al Gr1 c'è il senso perverso di tutto quello che accade. Il premier, che è anche un parlamentare, ha ragione nel rivendicare il suo diritto. Ma il solo fatto che sia costretto a farlo, mentre gli sta piombando sul capo l'ennesima tegola giudiziaria, dimostra la sua debolezza, anzi la sua impotenza. Certo, in nessun altro paese europeo e occidentale sarebbe possibile il caso di un capo di governo messo alla berlina per le sue conversazioni telefoniche finite sui giornali prima ancora che da esse i magistrati di una remota procura fossero in grado di ricavare un'ipotesi di reato. Ma forse in nessuno di quei paesi il governo si sarebbe dedicato per anni a una guerra contro la magistratura condotta con gli anatemi pubblici e con il vittimismo, senza mai una realistica strategia di riconciliazione.

Ora la prospettiva più probabile è che tutti gli attori di questo dramma un po' assurdo escano sconfitti, sullo sfondo di un panorama di macerie. Tutti: Berlusconi, l'opposizione e la stessa magistratura.
Primo. Il presidente del Consiglio è esposto all'ennesimo danno d'immagine. Che si aggiunge a tutti gli altri. Se pure le sue telefonate non configurano reati, come è plausibile, resta l'impressione di un costume malsano. Peggio, resta l'idea di un premier che vorrebbe liquidare i suoi nemici, in questo caso Santoro e «Annozero», ma riesce solo a danneggiare se stesso: incapace di imporre le sue direttive e scrutato dal «grande fratello» elettronico. E tutto questo a pochi giorni da elezioni che non promettono niente di buono al centrodestra (salvo il partito di Bossi nel Nord). È una fotografia impietosa ma veritiera di questa fase del «berlusconismo».
Secondo. L'opposizione ricaverà dalla vicenda qualche vantaggio elettorale. Ma confermerà di essere incapace di una linea autonoma. Berlusconi continua a essere l'alfa e l'omega della politica italiana e la magistratura è il suo nemico mortale. L'opposizione politica si limita a camminare nel solco tracciato dalle procure. Il che, è ovvio, non serve a costruire un'alternativa. Ci si limita a contrapporre una piazza all'altra.

Terzo. Anche la magistratura rischia di uscire sconfitta dalla guerra dei vent'anni. E' riuscita a logorare Berlusconi, ma ha logorato anche se stessa. Soprattutto ha perso credibilità agli occhi dei cittadini, alimentando i peggiori sospetti sugli interventi «a orologeria». Una vittoria di Pirro: ci vorrà tempo per ritrovare il prestigio perduto.

16 marzo 2010
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