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Il parlamento europeo è l'anello più debole

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16 ottobre 2009

Se vogliamo individuare le varie fasi dello sviluppo dell'Unione Europea, è necessario partire dal momento storico attuale, e in particolare da quello che oggi è il sentimento più sconcertante rivelato dai sondaggi dell'opinione pubblica in tutta l'Europa, e cioè il declino della visione idealistica dell'integrazione e la rinascita di una forma di nazionalismo.
Che cosa rivela questo declino? È soltanto la conseguenza della comparsa in scena di una generazione per cui la memoria della Seconda guerra mondiale, e la ferma decisione d'impedire che un orrore del genere possa mai ripetersi, non rappresentano più motivazioni fondamentali a favore dell'integrazione? O è invece il segno del sinistro rilancio di antiche abitudini e tendenze che hanno lacerato l'Europa all'inizio del XX secolo e indebolito la sua posizione nel mondo?
Sono domande decisive, che non possono essere trascurate.

Occorre in primo luogo esaminare il tipo di nazionalismo oggi diffuso in tutta l'Europa. Si tratta di una forma blanda ma potenzialmente autoritaria? O si tratta invece di un nazionalismo liberale che incarna valori che possono sembrare minacciati dal processo d'integrazione europeo? Per dare la risposta giusta dobbiamo innanzitutto individuare il motivo per cui l'integrazione europea sembra aver perso legittimità agli occhi di molti europei. Perché sentiamo sempre più spesso proteste sulla "lontananza", le "ingerenze" burocratiche e il carattere d'"impresa elitaria" della Ue, persino in paesi come l'Olanda, che è stata per tanti decenni in prima linea nella difesa della visione idealistica dell'integrazione? Una decina d'anni fa, nel mio libro La democrazia in Europa, avevo scritto che la legittimità della democrazia nel nostro continente era in pericolo. Avrei di gran lunga preferito sbagliarmi, ma purtroppo le tendenze dell'opinione pubblica europea da allora a oggi non hanno fatto che confermare la mia teoria.

L'Unione Europea non era adeguatamente preparata ad affrontare una "crisi di legittimazione". Eppure quella crisi era del tutto prevedibile, per un semplice motivo: in un primo momento, il processo d'integrazione ha toccato solo gli interessi, ma a un certo punto ha cominciato a toccare anche le identità, quelle garantite dalla cittadinanza all'interno degli stati membri.
In quel momento, la posta in gioco è cambiata ed è diventata molto più alta. Perché, pur essendo una conseguenza secondaria e involontaria del processo d'integrazione, non per questo la crisi di legittimazione appare meno grave o dannosa.

Oggi, però, appare ormai chiaro che l'evoluzione dell'opinione pubblica riguardo al tema dell'integrazione non dà ragione alla teoria che fa dipendere la legittimazione dall'output. L'originaria visione idealistica dell'integrazione, fondata sulla necessità d'impedire nuove guerre in Europa, non si è tradotta in un idealismo più maturo e solido. Il richiamo ai benefici ottenuti con l'integrazione non può adeguatamente sostituirsi al senso di sicurezza e di dominio sul proprio destino garantito dalla cittadinanza. È proprio per questo che le identità nazionali stanno risorgendo a nuova vita: sono infatti ancorate alla concezione del governo con una saldezza che l'Unione Europea non ha saputo conquistarsi.
Sebbene magari non concepiscano la questione in questi termini filosofici, molti europei sono oggi più attirati dal modello contrattuale che non da quello utilitarista, e questo li porta a modificare il loro atteggiamento nei confronti della Ue. Il liberalismo ha, sotto questo aspetto, profonde radici in Europa, ed è una vera fortuna.

Ciò non toglie che la crisi di legittimazione mostri chiaramente il tallone d'Achille dello sviluppo europeo. L'elezione diretta del parlamento europeo è stata prematura e non è servita a promuovere la causa del governo rappresentativo. Ha invece avuto l'effetto di troncare il collegamento tra classi politiche nazionali e progetto europeo. Ha rifiutato il contributo dei parlamentari nazionali, meglio attrezzati per riflettere e plasmare l'opinione pubblica sul tema dell'integrazione europea. La versione originaria del parlamento europeo – un'assemblea eletta indirettamente dai parlamenti nazionali, con membri dotati di "doppio mandato" – era molto più efficace, perché consentiva di riunire autorevoli esponenti delle classi politiche nazionali senza costringerli a rinunciare al proprio ruolo nei rispettivi paesi. Alimentava la prospettiva di una graduale fusione delle diverse culture politiche, e non minacciava quel fragile senso di dominio del proprio destino – di cittadinanza – che le istituzioni nazionali avevano così faticosamente creato.

I leader europei devono ora affrontare e risolvere questo punto debole nella struttura della Ue, o avviandosi verso il bicameralismo (con una camera alta composta da membri dei parlamenti nazionali) oppure modificando il metodo di composizione del parlamento europeo per aprirlo alle assemblee legislative degli stati membri. Quella sottile riaffermazione della sovranità dei diritti nazionali che si coglie nella recente decisione della Corte costituzionale tedesca a proposito del Trattato di Lisbona potrebbe rappresentare il primo passo in questa direzione.

16 ottobre 2009
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