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MALI ITALIANI / Il paese degli affari di famiglia

di Michele Ainis

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16 Settembre 2009

Secondo una rilevazione Censis (2006), il 61% degli italiani considera i soldi di famiglia e le conoscenze di papà ben più importanti del merito se vuoi farti largo nella vita. Come dargli torto? In Italia il nepotismo è un fatto, non un'opinione. Il X rapporto Almalaurea (2008) attesta che il 44% degli architetti italiani ha il padre architetto, il 42% degli avvocati è figlio d'avvocati, il 39% degli ingegneri genera figli ingegneri, e via elencando. Altrove verrebbe giudicata una sciagura, una malapianta da estirpare. Qui no, e anzi c'è chi se ne vanta.
In un'audizione alla Camera svolta il 29 marzo 2007, il presidente del Consiglio nazionale del notariato - Paolo Piccoli - ha osservato con orgoglio che soltanto il 17,5% dei notai italiani è figlio di notai. Soltanto? Questa cifra significa che oltre un posto su sei messo a concorso è un affare di famiglia, tanto varrebbe giocarselo in una riunione di parenti. Come peraltro accade nelle imprese familiari: passano di padre in figlio 66mila aziende l'anno, e infatti esistono ben due sindacati delle aziende di famiglia (l'Aidaf e l'Apaf), nonché un sito internet (www.familybusinesssmart.com) per gli addetti ai lavori, dove si dichiara con orgoglio che fra le imprese familiari più longeve al mondo 5 su 10 parlano italiano.
D'altronde alle nostre latitudini il nepotismo viene benedetto con tutti i crismi del diritto. È il caso, rispettivamente, dei farmacisti e dei bancari. Per i primi la legge n. 362 del 1991 aveva inventato la figura del farmacista mortis causa, assegnando al coniuge o all'erede, anche se privo delle qualifiche richieste, il diritto di gestione del negozio; nel 2006 un'altra legge ha poi temperato questa regola, ma senza reciderla del tutto. Quanto ai bancari, basta consultare l'articolo 15 del regolamento del personale della Banca d'Italia, che riserva un posto al sole per figliolanza e vedove degli ex dipendenti.
Ma dopotutto c'è voluta una sentenza della Cassazione (18 marzo 2008, n. 12.131) per stabilire che il nepotismo è reato; la Corte d'appello di Napoli era stata di parere opposto, anche se nella fattispecie due assessori e un sindaco avevano favorito una cooperativa che in cambio avrebbe dovuto assumere i loro più stretti congiunti.
Nella nostra bandiera nazionale, diceva Leo Longanesi, dovremmo metterci una scritta: «Tengo famiglia». È la bandiera cui rendono omaggio gli accademici (117 professori indagati presso le Procure di varie città italiane, alla data del 2008, per favori impropri ai loro familiari) non meno dei politici. Fra gli episodi più recenti: l'assunzione per chiamata diretta alla Regione Siciliana della figlia del nuovo assessore al personale, Giovanni Iarda, che fin lì si era distinto per la sua campagna all'arma bianca contro i fannulloni (settembre 2008). Il pieno di sorelle e di cognati a Sviluppo Italia in Calabria, 34 assunti senza concorso, ben pagati e ovviamente indisturbati, finché un quotidiano locale non ha scoperchiato gli altarini (luglio 2007). L'iradiddio scatenata dal ministro Bossi dopo la bocciatura del figliolo Renzo all'esame di maturità, con tanto d'accuse ai docenti meridionali che s'accaniscono contro l'intellettualità padana, finché la sua collega di governo Gelmini non ha mandato gli ispettori a rovistare fra i cassetti della commissione d'esame (ottobre 2008).
Più o meno negli stessi giorni, a Roma, cadeva l'appuntamento annuale con il Festival internazionale del film. Una rassegna del cinema d'autore? No, l'elenco del telefono dei figli d'autore. Inaugurazione affidata al film L'uomo che ama di Maria Sole Tognazzi, figlia del grande Ugo Tognazzi, nonché sorella del regista Ricky e dell'attore Gianmarco. A seguire un dvd firmato da Christian De Sica, figlio di Vittorio. Poi i Vanzina, Enrico sceneggiatore e Carlo regista, ambedue figli di Steno. L'altra coppia di figli registi (Marco e Claudio) del regista Dino Risi. Fino ai Manfredi, al figlio di Alida Valli, agli altri innumerevoli campioni del familismo applicato allo spettacolo. D'altronde in Rai va pure peggio: nel sito web di Beppe Grillo chiunque può leggere una lenzuolata di fratelli, nipoti, zii e cugini di qualche illustre personaggio, fra gli 11mila dipendenti del gruppo (Conigliera Rai, 8 settembre 2006).
Da qui una questione di giustizia, d'equità sociale. E la giustizia reclama a propria volta interventi correttivi, allo scopo di riequilibrare le posizioni ai nastri di partenza della corsa. Come? Rovesciando l'idea che il presidente Kennedy applicò nell'America dei primi anni 60, una "discriminazione alla rovescia" per garantire l'égalité de chances ai neri, alle donne, a tutte le minoranze svantaggiate. Per esempio: in quest'azienda si diventa dirigenti maturando almeno 10 anni di servizio, ma se sei nero te ne bastano 5. L'idea di Kennedy si tradusse nella politica delle azioni positive (affirmative actions), che concessero un metro di vantaggio a quanti provenivano da un gruppo discriminato; e allora forgiamo altrettante azioni negative, facendo partire dietro a tutti gli altri quanti verranno poi sospinti nella corsa dalle proprie relazioni familiari.
In breve: sei figlio di notai e partecipi a un concorso da notaio? Nel tuo caso per guadagnarti il sigillo notarile ti serve un punteggio più elevato. Forse con questa soluzione renderemo finalmente effettiva la meritocrazia, potremo darle fiato e gambe.
D'altronde in tutto il mondo non mancano le ipotesi in cui la provenienza familiare si traduce in un divieto d'assunzione. Una fra le maggiori società internazionali di consulenza, la McKinsey, sbarra l'accesso ai figli dei propri partner, anche se hanno in tasca una laurea con 110 e lode. In India i magistrati che hanno un parente avvocato vengono immediatamente trasferiti ad altro distretto giudiziario. Newropeans, un movimento politico transeuropeo che ha debuttato alle elezioni del 2009 per il rinnovo del parlamento di Strasburgo, proibisce espressamente ai propri deputati d'impiegare congiunti nello staff. Nell'agosto 2008 il governatore del Rhode Island, Donald Carcieri, è finito sotto inchiesta per aver assunto la nipote: in quel minuscolo stato americano un regolamento antinepotismo del 1991 proibisce infatti a ogni autorità pubblica d'ospitare nello stesso ufficio un familiare.
  CONTINUA ...»

16 Settembre 2009
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