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FINANZA GLOBALE / Una Tobin tax con cautela

di Dani Rodrik *

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16 Settembre 2009

Lo scorso agosto è successo qualcosa che non avrei mai pensato di vedere: un importante esponente dell'impero angloamericano della finanza di fatto si è pronunciato in favore della Tobin tax, una tassa globale sulle transazioni finanziarie. Il funzionario in questione è Adair Turner, direttore dell'Autorità per i servizi finanziari (Fsa), il principale organo di controllo del settore finanziario nel Regno Unito. Turner, dando voce alle sue inquietudini riguardo all'ipertrofia del settore finanziario e ai livelli, spesso osceni, dei compensi, dice di ritenere che una tassa globale sulle transazioni finanziarie potrebbe contribuire a mettere un freno a entrambi i fenomeni. Una dichiarazione di questo tenore sarebbe stata impensabile negli anni che hanno preceduto la crisi dei mutui subprime. Ma ora è un segnale di quanto siano cambiate le cose. L'idea di una tassa di questo genere fu avanzata per la prima volta negli anni 70 dall'economista premio Nobel James Tobin, che esortò a «gettare qualche granello di sabbia fra le ruote della finanza internazionale». Tobin era preoccupato per le fluttuazioni eccessive dei tassi di cambio e sosteneva che tassare i movimenti di denaro a breve in entrata e in uscita dalle diverse valute avrebbe limitato la speculazione e creato un certo spazio di manovra per la gestione macroeconomica interna.
L'idea da allora è diventata una bandiera per numerosissime organizzazioni non governative e gruppi di pressione, che vedono in essa il doppio pregio di ridimensionare il settore finanziario e raccogliere un gruzzolo consistente da destinare alle cause predilette (per fare qualche esempio: l'assistenza allo sviluppo, i vaccini, le tecnologie ecologiche). È stata appoggiata anche da alcuni leader francesi (era prevedibile!) e di altri paesi dell'Europa continentale. Ma, fino all'endorsement di Turner, trovare in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, i due snodi principali della finanza globale, un politico o un funzionario di primo piano disposto a spendere parole di encomio per questa misura era una missione impossibile.
Il bello di una Tobin tax è che scoraggerebbe la speculazione a breve termine senza produrre effetti negativi rilevanti sulle decisioni di investimento internazionali a lungo termine. Prendiamo in considerazione, ad esempio, una tassa dello 0,25% applicata a tutte le transazioni finanziarie internazionali. Un'imposta di questo tipo ucciderebbe all'istante il trading intraday, un metodo adoperato per realizzare margini di profitto molto più bassi della percentuale indicata, e ucciderebbe anche gli scambi più a lungo termine congegnati per sfruttare differenziali minimi tra un mercato e l'altro.
L'importanza sociale di questo tipo di attività economica è alquanto dubbia, ma è certo che consuma risorse reali in termini di talenti umani, risorse informatiche e debito. Non ci sarebbe dunque da stracciarsi le vesti se dovessero passare a miglior vita. Al contempo, quegli investitori che hanno prospettive più a lungo termine e vanno alla ricerca di rendimenti significativi non verrebbero scoraggiati da questa tassa, e dunque i capitali, sul lungo periodo, potrebbero continuare a muoversi nella direzione giusta. E i governi che gestiscono male la loro economia verrebbero puniti dai mercati finanziari, esattamente come prima.
Inoltre, è incontestabile che una tassa simile consentirebbe di raccogliere grandi quantità di denaro. Alcune stime degli introiti che deriverebbero da una piccola tassa sulle transazioni valutarie internazionali si aggirano sulle centinaia di miliardi di dollari l'anno. Gli incassi sarebbero ancora maggiori estendendo l'applicazione della misura, come sottintendeva Turner, a tutte le transazioni finanziarie globali. Qualunque sia la cifra esatta stiamo parlando di numeri colossali, maggiori, per fare un esempio, dei flussi di aiuti allo sviluppo, o dei guadagni che deriverebbero, secondo le valutazioni più ragionevoli, da un completamento del round negoziale di Doha.
Com'era prevedibile, Turner è stato aspramente criticato dai banchieri della City e dal Tesoro. Gran parte di queste critiche non centra il bersaglio. Alcuni dicono che una Tobin tax farebbe levitare i costi della finanza a breve termine, non rendendosi conto che è proprio questo lo scopo. Altri affermano, come se avessimo a disposizione un'alternativa efficace e collaudata per raggiungere questo obbiettivo, che un tale provvedimento non risolverebbe il problema degli incentivi, che è il guaio principale dei mercati finanziari. Metterebbe a rischio il ruolo di Londra come centro finanziario, lamentano altri, come se la proposta fosse di applicarla solo a Londra e non a tutto il mondo. Qualcuno ha sottolineato che sarebbe facile svicolare appoggiandosi a banche offshore, come se questo non valesse per qualsiasi regolamento finanziario.
E comunque, come ha osservato Dean Baker, del Center for Economic and Policy Research di Washington, esistono molti modi per rendere più difficile evadere la Tobin tax. Supponiamo, dice lui, di dare agli operatori finanziari che denunciano il capo truffaldino il 10% degli introiti ricavati dal governo. Sarebbe un buon incentivo all'automonitoraggio.
Quello che non fa la Tobin tax è risolvere il problema dei disallineamenti sui mercati finanziari. Non avrebbe impedito, ad esempio, lo squilibrio commerciale tra Stati Uniti e Cina. E nemmeno avrebbe potuto impedire che l'accumulo di risparmio a livello globale si trasformasse in una bomba a orologeria per l'economia mondiale. Non avrebbe protetto le nazioni europee e di altri continenti dall'alluvione di asset ipotecari tossici esportati dagli Stati Uniti. E non avrebbe scoraggiato quei governi determinati a portare avanti politiche monetarie e di bilancio insostenibili, finanziate con i prestiti dall'estero.
  CONTINUA ...»

16 Settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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