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DENTRO IL PDL / Dietro Fini un'altra destra

di Miguel Gotor

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17 Aprile 2010

La politica è l'arte del possibile, ma anche dell'imprevedibile. In pochi, dopo l'esito delle elezioni regionali, avrebbero preventivato una radicalizzazione del conflitto tra Berlusconi e Fini. Quei risultati piuttosto sembravano instaurare le condizioni di una coabitazione difficile, ma necessaria, favorita dall'eccezionale occasione di una quiete elettorale di tre anni, che preparava una palingenetica età delle riforme.

Invece no, Fini sbatte i pugni sul tavolo nel momento all'apparenza per lui più sfavorevole, dando prova di un coraggio che sfiora la temerarietà. Per provare a capire il perché, è necessario distinguere la dimensione del potere da quella della politica, che solo i troppo ingenui o i troppo cinici tendono a far coincidere.

Anzitutto, occorre riconoscere che lo scontro di oggi non è un fulmine a ciel sereno, ma si colloca dentro un processo che ha una precisa origine nei modi e nei tempi con cui è nato il Pdl nel novembre 2007. Quando Berlusconi salì sul predellino annunciando la volontà di riunificare Forza Italia e Alleanza nazionale in un solo partito, la risposta di Fini non poté essere più dura e contraria. Solo la vittoria elettorale del 2008 e il conseguente patto di potere stretto in quei mesi ha impedito che i nodi venissero al pettine, ma intanto quell'antico dissenso politico non solo non è mai venuto meno, ma i fatti hanno dimostrato che aveva ben ragione di esistere sicché ha continuato a crescere insieme con il rancore e le reciproche incomprensioni.

Anzi, paradossalmente, la storia del Pdl di questi mesi è servita a Fini per misurare la lealtà dei suoi uomini e capire quanti lo hanno seguito dalla svolta di Fiuggi in poi non per calcolo di potere, ma per convinzione politica e valoriale. E sì, perché Berlusconi in questi mesi è riuscito ad acquisire alle sue ragioni una serie di uomini di An come già fece con la Lega a metà anni 90 e con l'Udc di Casini più recentemente. Inutile fare finta di nulla: la quota del 30% dei dirigenti di An dentro il Pdl è ormai quasi completamente berlusconizzata. Naturalmente, i nuovi acquisti hanno l'entusiasmo, lo zelo e l'opportunismo dei neofiti e si sono trasformati in veri e propri "Berluscones", divenendo i principali avversari del loro vecchio leader.

Oggi Fini è certo che, pur essendo il cofondatore del Pdl, non erediterà mai la guida di quel partito ed è come se si trovasse in una di quelle fasi della vita in cui si è chiamati a scelte impegnative: vivacchiare in un'attesa di successione sempre più inverosimile e che non corrisponde ai suoi convincimenti politici profondi, oppure impadronirsi del proprio destino trasformandosi nel leader di una nuova destra repubblicana, nazionale, laica, costituzionale, liberale, antifascista. Scommettere sul consenso di questa proposta politica, sulla sua forza ed energia. Fini ritiene legittimamente di avere davanti a sé un futuro politico che vuole giocarsi sino in fondo in modo non gregario e non gli basta più il ruolo di frondista culturale alla corte del sultano di Arcore.

La crisi di oggi, tuttavia, non ha solo motivazioni di carattere politico o personale perché è una divisione (di cui è difficile prevedere gli esiti, le conseguenze e la radicalità) che ha un suo autonomo fondamento culturale. Si sta chiarendo lo scontro tra una nuova destra italiana, istituzionale e riformista, e la versione populistica incarnata da Berlusconi che propone una rinnovata sintesi fra Lega e gli ex-aennini convertiti al culto del capo, persuaso di avere la maggioranza del paese come le ultime regionali indurrebbero a pensare. Sono divisi da un'idea diversa dell'Italia e da un differente concetto del patto di cittadinanza e dei diritti individuali: non è poco, anzi è molto. Ovunque, nelle democrazie, la destra è sinonimo di rigore, legalità, laicità dello stato, merito; solo da noi una destra simile sembra impossibile a realizzarsi e deve trasformarsi in una miscela di privatismo, furbizia, rifiuto delle regole ed egoismo.

Attenzione, però: la forza della posizione di Fini è soprattutto nella sua natura culturale prevalentemente post-ideologica, ma trova la sua origine anche dentro un patrimonio legalitario antico, già presente, seppure in una posizione minoritaria, nel vecchio Movimento sociale italiano. In realtà, la caricatura del "compagno Fini" è il prodotto del becerume della destra populista italiana e dell'ingenuità di quanti da sinistra guardano a lui come una scorciatoia per liberarsi di Berlusconi.

Certo, la politica è anche contingenza. A questo proposito è impossibile non notare che il precipitare dello scontro tra Fini e Berlusconi avviene nelle ore in cui la procura d'Appello di Palermo ha chiesto in secondo grado di giudizio di aumentare le pene per Marcello Dell'Utri, ossia il fondatore di Forza Italia, nonché braccio destro dell'attuale presidente del Consiglio, già condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Il passato insegna che si annuncia un nuovo periodo difficile nei rapporti tra Berlusconi e la magistratura in cui il presidente della Camera sarà chiamato a svolgere un ruolo d'equilibrio e di responsabilità istituzionale fondamentali. La crisi di oggi, dunque, arriva non solo improvvisa, ma anche nel momento peggiore.

miguel.gotor@unito.it

17 Aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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