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La lunga ombra della crisi

di Orazio Carabini

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17 Aprile 2010
La lunga ombra della crisi. Nella foto Lloyd Blankfein

«I nostri profitti sono la chiave del nostro successo. Accrescono il nostro capitale, attraggono e consentono di fidelizzare le nostre persone migliori. La profittabilità è cruciale per il nostro futuro». È il nono dei 14 principi ispiratori della strategia di Goldman Sachs elaborati negli anni 70 da John C. Whitehead, il suo capo di allora. Più avanti, come riporta Charles D. Ellis in The partnership. A history of Goldman Sachs, si legge: «L'integrità e l'onestà sono il cuore del nostro business. Ci aspettiamo che chi lavora per noi mantenga elevati standard etici in ogni cosa che fa, sia nel lavoro sia nella vita privata».

Purtroppo le due regole non sempre vanno d'accordo. Come è emerso in modo evidente nella crisi finanziaria del 2008-09. Adesso che la Sec, la Consob degli Stati Uniti, ha accusato di frode la blasonata banca d'investimenti americana per aver nascosto agli investitori importanti informazioni su un titolo derivato dai mutui subprime, le cattiverie su Goldman Sachs si sprecheranno. Sebbene il vertice guidato da Lloyd Blankfein abbia respinto le accuse della Sec, riprenderà il processo al ruolo che la banca ha avuto nell'origine e nei fatti più rilevanti della recente crisi finanziaria.

Soltanto tre mesi fa, il 13 gennaio scorso, Phil Angelides, il deputato californiano che presiede la commissione d'inchiesta sulla crisi al Congresso americano, si è rivolto a Blankfein dicendogli di «aver venduto una macchina sapendo che aveva i freni rotti e di aver poi incassato l'assicurazione sulla vita del conducente». Ovvero di aver venduto prodotti "avariati" (i Cdo, collateralized debt obligation) per 40 miliardi di dollari, assicurandosi poi con Cds (credit default swap) per 13 miliardi acquistati dalla Aig, la grande compagnia di assicurazioni salvata con i soldi dei contribuenti americani.

Il guaio è che troppo spesso Goldman Sachs opera sulla linea di confine. Dietro una facciata fatta di serietà, invincibilità, creatività e contatti di altissimo livello, esiste la dura realtà del mercato dove è difficile conciliare etica e profittabilità. E allora ecco che quando schizza il prezzo del petrolio salta fuori che sui derivati sulle materie prime è Goldman Sachs a dare la linea. Ecco che nel caso dei conti pubblici truccati in Grecia è stata Goldman Sachs ha inventare gli swap giusti per aggirare le regole di Eurostat. E infine ecco che sui derivati sui mutui subprime è ancora Goldman Sachs a fare la parte del leone.

La deregulation della finanza ha segnato il suo trionfo. E nonostante i sospetti, liquidati come maldicenze o improbabili teorie cospiratorie, era rispettatissima. Non a caso il ministro del Tesoro di Bill Clinton, Robert Rubin, e quello di George Bush, Hank Paulson, provenivano dal top management di Goldman Sachs. Così come Whitehead lo era stato di Ronald Reagan negli anni 80.

Le accuse della Sec avranno, molto probabilmente, un importante effetto politico: il progetto di riforma del sistema finanziario voluto da Barack Obama accelererà il suo percorso parlamentare. Se finora era rimasto invischiato nella tela tessuta dai lobbisti, adesso può decollare. E anche le parti contrastate con più decisione dalla lobby finanziaria, come la regolamentazione dei mercati dei derivati, ha più probabilità di vedere la luce.

Con il campione della finanza internazionale alle corde, si riproporranno con forza i temi che hanno dominato il dibattito negli ultimi due anni. In particolare quello dei conflitti d'interesse che dominano l'attività delle banche d'investimento mentre dovrebbero essere neutralizzati dalle "muraglie cinesi". E quello dei leggendari bonus che i banchieri si attribuiscono legandoli a profitti ottenuti, troppo spesso, a qualsiasi condizione.

La mossa della Sec non getta ombre sulla tenuta del sistema. Anche se le Borse di tutto il mondo hanno reagito male alla denuncia per frode verso Goldman Sachs, che potrebbe peraltro precedere il coinvolgimento di altre importanti banche, insolvenze e crisi di liquidità, per fortuna, non sono in vista.

È tornata tuttavia in gioco la credibilità degli uomini e delle organizzazioni da cui dipende, in ampia misura, il funzionamento di un settore vitale dell'economia. Se non si ripristina la fiducia, anche con le nuove regole volute da Obama, sarà più difficile tornare a una stabile crescita.

17 Aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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