ITALIA

 
 
 

 
HOME DEL DOSSIER

12 Gennaio 2010

11 Gennaio 2010

10 Gennaio 2010

9 GENNAIO 2010

8 Gennaio 2010

7 GENNAIO 2010

6 GENNAIO 2010

5 GENNAIO 2010

03 gennaio 2010

2 gennaio 2010

30 dicembre 2009

29 dicembre 2009

28 Dicembre 2009

27 dicembre 2009

24 DICEMBRE 2009

21 Dicembre 2009

20 dicembre 2009

19 dicembre 2009
18 Dicembre 2009
17 dicembre 2009
16 dicembre 2009
15 DICEMBRE 2009

14 dicembre 2009

13 dicembre 2009

12 dicembre 2009
11 dicembre 2009

CLASSI DIRIGENTI / Il pensiero strategico? Non abita più in Europa

di Carlo Carboni

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
17 Dicembre 2009

Quello che resta oggi del pensiero strategico è in gran parte dovuto alle élite economiche e finanziarie nordamericane o si tratta, in realtà, di frammenti di pensiero "laterale", creativo. In Europa, il pensiero strategico è per lo più scambiato, in senso riduttivo, con un'interpretazione intellettuale retrospettiva, incapace, se non raramente, di esprimere intenti, culture e tempi realmente innovativi. Più che di un ipotetico declino del pensiero strategico globale o di un'improbabile eclissi della leadership globale statunitense, noi europei, e in particolare noi italiani, dovremmo occuparci di più dell'attuale palpabile caduta del nostro pensiero strategico che si accompagna al declino conosciuto negli ultimi 30 anni dalle grandi capitali europee.
Ma procediamo per gradi. La stessa crisi economica attuale deriva da un'evidente debolezza di pensiero strategico, innanzitutto tra le classi dirigenti e, poi, nel software culturale della società. Non a caso, nel Vecchio Mondo assistiamo anche a una crisi di fiducia sociale a causa dello sguardo corto e miope, cinicamente acquisitivo che le élite hanno manifestato in questi anni, a partire dalla "superclass globale" di cui ha scritto David Rothkopf (2008) fino ai ceti politici ristretti locali, la degenerazione dei quali è stata fotografata nella Casta di Rizzo e Stella. In Italia, solo il 14% della popolazione ritiene che una visione strategica sia un tratto di rilievo delle élite italiane che, non a caso, sono percepite poco "traenti" e poco innovative (ad eccezione di imprenditori, professionisti e ricercatori) e non va molto meglio nel resto dei paesi europei.
Le cause del declino del pensiero strategico sono molto complesse e andrebbero correlate con una fenomenologia culturale e strutturale di lungo periodo: l'astinenza dalle grandi visioni ideologiche che dura almeno da trent'anni; i nuovi ritmi di vita - schiacciati sul presente - imposti dalle tecnologie interconnettive del "tempo reale"; una classe politica sempre più trasfigurata dalla società dello spettacolo e dei desideri; l'espansione delle democrazie di mercato. Sarebbe una lunga e avvincente analisi quella sulle cause di una possibile crisi del pensiero strategico globale, ma converrà attenerci all'evidenza del declino di quello europeo, in particolare quando evochiamo, a contrasto, la centralità del pensiero strategico nelle grandi ideologie europee del Novecento che sono tuttavia evaporate negli ultimi vent'anni del secolo scorso, assieme alla società di massa classista. Del resto, le recenti classifiche pubblicate sui quotidiani (da Foreign Policy al Sole 24 Ore, a Time) mostrano la persistente schiacciante superiorità del pensiero strategico made in Usa e l'obsolescenza dei maitres à penser europei, sempre più spesso sostituiti da global thinkers indiani, ad esempio.
La casistica che si potrebbe portare a sostegno di questa tesi del declino del pensiero strategico, in particolare europeo, è ampia, proprio a partire dalla discutibile ipotesi corrente di un'obsolescenza - seppur graduale - della leadership globale statunitense. Lo scenario di un futuro dominato dalla sfida o addirittura dal sorpasso cinese sugli Usa sembra più un impotente "gufare" europeo avverso ai cugini statunitensi che una realistica previsione di medio-lungo periodo. Quella accreditata da alcuni autorevoli studiosi è piuttosto che tra Cina e Nordamerica stia prendendo forma un'integrazione basata sulla cooperazione e la competizione, con un enorme mercato interno di sistema come potenziale di sviluppo. L'altro macrosistema che tenderà a integrarsi maggiormente è quello europeo-russo.
In sostanza, lo scenario maggiormente in voga in Europa per interpretare il percorso cinese non ha apprezzato a sufficienza il divario attualmente esistente tra Usa e Cina. Il pensiero strategico di Pechino appare rivolto a tutt'altro scenario (interno) ed è stata tutt'altra la preoccupazione covata da alcuni professori di Harvard (almeno fino a due anni fa) secondo i quali una marcia decisa del progetto politico europeo avrebbe costituito la vera grande sfida alla supremazia Usa (G. Morgan, 2005).
La carenza di pensiero strategico è netta in Europa e, per ora, quella sfida sembra rinviata: segno ne è che, di recente, ancora una volta i leader dei governi nazionali europei sono stati i big player che hanno caldeggiato l'inserimento nella Commissione europea di personalità di "seconda fila" non competitive con l'immagine della leadership personale nazionale di Sarkozy, Berlusconi, Merkel, Zapatero e Brown. Come effetto paradossale della mancanza di un pensiero strategico a livello di leadership politica europea, le decisioni importanti in molte materie vengono prese in quantità crescente in sede comunitaria, ma le leadership politiche di rilievo rimangono nazionali. In breve, la nazione diventa il paradiso dell'autorefenzialità e della deresponsabilizzazione di una leadership in gran parte sollevata dall'imbarazzo di dover decidere (visti i vincoli europei).
In Italia aveva pensiero strategico De Gasperi, e anche Togliatti e Nenni lo avevano. Lo avevano il repubblicano La Malfa e il liberale Panunzio, ma ne difettano le attuali fondazioni politiche, che da cenacolo di competenze sono spesso ridotte a segreterie di leader politici. Nella politica italiana sono diventati ossessivi i tatticismi e gli equilibrismi che si ripropongono anche nei grandi assetti bancari-finanziari ed economici. Lo sguardo corto sembra prevalere sul pensiero strategico. In Italia come in Europa, l'eclissi di un pensiero strategico si accompagna all'incapacità delle classi dirigenti nazionali di pensare e agire nel proprio interesse e, al tempo stesso, per fini universalistici. Tuttavia, limitarsi alla gestione dell'esistente, senza alzare mai lo sguardo, equivale a gestire il proprio declino senza accorgersene.

17 Dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-