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TERRORISMO E PARTITI / Non sono anni di piombo ma la politica torni «grande»

di Fabrizio Forquet

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17 Dicembre 2009
Il volantino di rivendicazione dell'ordigno esploso in parte alla Bocconi e fatto trovare dal Fai (Ansa/Milo Sciaky)

Cominciamo da un punto. Gli anni che usiamo chiamare di piombo non c'entrano nulla. Chi oggi ne parla, con la rituale locuzione del «rischio di tornare a», getta volutamente fumo negli occhi o è inguaribilmente piantato con i piedi e la testa negli anni tragici della propria gioventù. Sono lontani i Settanta, ma guai a sottovalutare. I pacchi-bomba, parzialmente esplosi, all'Università Bocconi e al Centro per gli immigrati di Gradisca sono stati valutati dall'intelligence con grande preoccupazione. Dietro la sigla della Fai, la Federazione anarchica informale, c'è - secondo l'ultima relazione dei servizi al parlamento - «la principale minaccia terroristica di matrice anarco-insurrezionalista a livello nazionale».
Torna a farsi viva la Fai. Lo fa a soli tre giorni dall'aggressione, gravissima, di Massimo Tartaglia al presidente del consiglio in Piazza Duomo. E poco prima il fanatismo islamico aveva colpito duramente alla caserma Santa Barbara di Milano. Brutta aria. Domani si riunirà il Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, del Viminale. Rilancerà l'allarme che da mesi l'intelligence solleva (e segnala a chi di dovere): in un clima di continua rissa politica e istituzionale, con la grancassa del caleidoscopico anarchismo di certo web, e la crisi economica che rischia di sfilacciare ulteriormente il già colpito tessuto sociale, si sommano i rischi degli atti isolati e delle azioni delle organizzazioni anarco-insurrezionaliste.
Non sono gli anni di piombo. Mancano i furori ideologici e i modelli più o meno esotici da abbracciare. Ma mancano - e questo è parte essenziale del problema che abbiamo davanti - anche i grandi partiti in grado di comporre le spinte contrapposte della società e di incanalare in un insieme gli animi più esaltati. A volte, sommersa dagli insulti e dalle urla di chi si sente fazione contro fazione, sembra mancare tout court la politica.
All'indomani dell'aggressione al presidente del consiglio la tregua delle fazioni è durata poche ore. Gli appelli, ripetuti, del capo dello stato sono stati sommersi dalle accuse reciproche e dal rimpallo delle responsabilità. Anche in parlamento. Uno spettacolo indecoroso. È tempo di fermarsi. La politica torni alla politica, il wrestling al wrestling. Non sono gli anni di piombo. Ma siamo alle soglie di un terreno assai pericoloso.

17 Dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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