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All'Europa serve un fondo per le emergenze

di Barry Eichengreen

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17 febbraio 2010

L'Europa si avvia ineluttabilmente a un salvataggio della Grecia. Ci saranno finanziamenti d'urgenza, condizioni, promesse di rito da parte di Atene, che in questo modo, potrà pagare gli interessi sul debito e i mercati si calmeranno. Le conseguenze a lungo termine saranno spiacevoli, ma sono problemi a cui pensare dopo.

Qualcuno dirà che l'errore è stato consentire alla Grecia di adottare l'euro. Doveva essere ovvio che non era pronta. Nel 2001, quando è entrata nell'Unione monetaria, la sua politica fiscale era fuori controllo, i sindacati erano in agitazione, volevano aumenti che portassero i salari a livelli europei a dispetto di una scarsa produttività. Ma l'osservazione è semplicistica, simili segnali di disfunzione non arrivano solo dalla Grecia. La Spagna, con un 20% di disoccupazione e un enorme deficit di bilancio, vede nella Grecia di oggi il proprio futuro, o per lo meno lo vedono i mercati. Non che vada meglio in Portogallo e in Italia che, come la Grecia, devono affrontare drastici tagli al bilancio. Come la Grecia non possono procedere a una svalutazione per stimolare le esportazioni, rischiano una recessione profonda e saranno tentati di chiedere aiuto.

Sorge una domanda: l'errore non sta proprio nell'aver creato l'euro? Ero uno dei rari americani a raccomandare la moneta unica, sarebbe giustificato chiedermi se ho ripensamenti. La mia risposta è no, l'euro non è stato un errore anche se potrebbe ancora diventarlo. La crisi greca mostra che l'Europa ha percorso solo metà della strada verso un'unione monetaria durevole. Se non reagisce, in confronto alla prossima crisi quella attuale sembrerà una passeggiata.

Per completare l'Unione monetaria, l'Europa deve creare un meccanismo per i finanziamenti d'emergenza. Oggi gli altri stati membri possono aiutare la Grecia solo allentando le regole che vietano i prestiti salvo in caso di disastro naturale o di circostanze sulle quali un paese non ha controllo. Questa situazione accresce l'incertezza. Quando i leader europei intervengono, suscitano nell'opinione pubblica e nei mercati un'impressione di disonestà.

Se i problemi nascono dal trattato di Lisbona, allora va cambiato. Inoltre l'aiuto non deve essere accompagnato solo da condizioni, ma anche da un controllo temporaneo del bilancio nazionale da parte di un comitato di "tutori" nominato dall'Unione Europea. Non c'è dubbio che i paesi ai quali tali misure saranno applicate esprimeranno forte indignazione. D'altronde nessuno li obbliga a prendere quei soldi. È la soluzione per accontentare chi si preoccupa dell'azzardo morale. E per costringere un paese alla disciplina, è un meccanismo più efficace del defunto Patto di stabilità e crescita.

Proviamo a chiederci cosa penserebbero i californiani se il loro stato fosse costretto a consegnare temporaneamente il bilancio a un tutore nominato dall'amministrazione Obama? Probabilmente, penserebbero "okay". Quel tutore non sarebbe californiano, ma sarebbe un compatriota, e la gente capirebbe che agisce nell'interesse sia dello stato che del paese. Sarebbe anche rassicurata dalla presenza di propri rappresentanti a Washington, da cui il tutore riceverebbe gli ordini di marcia.

In Europa è diverso. La gente si considera innanzitutto greca o tedesca e le prerogative sovrane degli stati non si toccano. La Germania è la meno disposta a farlo, evocherebbe brutti ricordi della Seconda guerra mondiale. Ma se l'Europa vuole l'unione monetaria, deve lasciarsi il passato alle spalle. Ha bisogno non solo di legami economici più stretti, ma anche di legami politici più stretti. I responsabili di un meccanismo robusto di finanziamento d'emergenza dovranno risponderne sul serio, a un Parlamento europeo robusto.

Gli elettori di Angela Merkel odiano i salvataggi perché sanno che tocca a loro farli, e si oppongono a ogni iniziativa che sappia di integrazione politica. Ma la Germania non è del tutto innocente, nella crisi attuale. Ha voluto una banca centrale straordinariamente indipendente. Ora questa sta imponendo una politica monetaria troppo restrittiva che aggrava la situazione dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), proprio come l'aggrava il surplus della bilancia commerciale tedesca. La Germania ha fatto troppo poco, in termini di incentivi, per sostenere l'economia europea. Però ha tratto grandissimi vantaggi dall'euro e dovrebbe ricambiare. Dovrebbe spingere alla creazione di un sistema di finanziamento d'emergenza e a un'integrazione politica che lo renda fattibile. Dovrebbe anche fornire maggior sostegno pubblico. E quale altro paese può chiedere maggiori responsabilità per la Bce ed essere ascoltato? La crisi greca potrebbe essere il cavallo di Troia che porta l'Europa a un'integrazione politica più profonda. O così si può sperare.
Traduzione di Sylvie Coyaud

17 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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