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IN UN LICEO BOLOGNESE / Com'è triste «l'okkupazione»

di Davide Rondoni

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17 febbraio 2010

Le occupazioni non sono un fatto politico, ma antropologico. Nel senso che politicamente non riservano sorprese. Ma umanamente sì. All'entrata ci sono i banchi di traverso. Si passa solo col permesso degli occupanti e lasciando documenti eccetera. Siamo nell'epoca dei controlli, dei preservativi, dei check point. E anche qui, nella scuola occupata nel centro di Bologna dove sono invitato a fare un dibattito, la prima impressione è quella della paura. Certo, ci sono motivi di responsabilità: occupano, questi, ma non vogliono storie, né andare contro la legge. Non "troppo" fuorilegge. Quindi si accede solo coi documenti, così se uno fa cavolate si sa chi c'è e chi non c'è.

Fosse stato per me, la prima cosa che avrei fatto occupando una scuola sarebbe stata fumarci dentro. Senza dar troppo fastidio, ok, ci sono un sacco di stanze, grandi finestre. Ma avrei trasgredito l'unica legge che in Italia tutti rispettano. Anche perché, come dice un grande scrittore americano, che razza di buone idee possono venir fuori in una riunione dove non si fuma? Invece no, vietato fumare.

L'occupazione è ormai una forma consueta. Ogni anno ormai, come la gita ad aprile. Non fa più paura, non dà più molti brividi. Però i ragazzi la vivono come uno dei pochi momenti di protagonismo. Questo è il problema. Per tutto il resto dell'anno dove sono, dove li teniamo? A volte mi sembra che li teniamo occupati. Ma non ci interessa granché di loro. Dar contro a Berlusconi e alla Gelmini è una rivoluzione troppo blanda. E infatti è una protesta di segno conservatore. La ministra non s'è presentata, dicono, a una riunione dei presidenti degli organismi studenteschi nazionali. Se è così, ha fatto male. I ragazzi vanno incontrati sempre. E 'sto governo di certo con i giovani fa fatica a intendersi.

Poi però ho detto in assemblea: non ho motivi a priori per difendere o attaccare la riforma, non ho tessere di partito, e dunque vi dico, occhio, non siate conservatori. Naturalmente non la prendono bene. C'è una responsabile scuola del Pd, una sindacalista Cgil e uno del Pdl. Qui han più popolarità la prima e la seconda. E questa è una scuola delle migliori. Un Classico, un po' fighetti, direbbe un detrattore. Quando dico che fu il ministro Berlinguer (non la Gelmini) a una cena a dirmi che con oltre un milione di dipendenti (più di quelli del Pentagono) la scuola italiana sarebbe soffocata, rimangono un poco ad ascoltare. Bisogna tagliare e innovare. Lo sanno tutti i ministri, di ogni partito. Ma la sindacalista si mette a parlare di attacchi alla Costituzione, di diritti, e di altre cose fantastiche e vaghe. I ragazzi applaudono. Hanno voglia di cose vaghe. E di sentirsi al sicuro, dalla parte giusta. Nessuno qui li vuole avvisare che siamo entrati nell'età del rischio. Rischio di non avere ideologie giuste a priori, di non avere sicurezze, di non avere pensione, di non avere patria, di non avere lavoro.

No, si accoccolano in frasi fatte. Già usate venti, trent'anni fa dai loro genitori e insegnanti. In frasi preservativo. È come se cercassero in tutti i modi di allontanare qualsiasi rischio. Gli altri, la stragrande maggioranza, quelli che della Gelmini sai cosa gliene frega, stanno entrando invece nell'età del rischio inevitabile senza pensarci, disarmati.

All'assemblea saranno in 250, su una scuola di mille ragazzi. E ce ne sono di altre scuole. Pochi insegnanti. Si fa il giro delle scuole occupate un po' come dei bar per gli happy hour. Il ragazzo che fa da moderatore si chiama come me, Davide. È sveglio e carino, gli fanno i complimenti alla fine. Stanno diventando grandi 'sti ragazzi. Sono a rischio. E se non si trema con loro, se non ci si mette a rischio con loro, significa che siamo diventati adulti cinici e faziosi.

17 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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