D'accordo, facciamo una piccola tara. Ammettiamo pure che nel rompere un embargo sul nucleare che nella sinistra democratica Usa durava da circa 30 anni Obama abbia fatto i suoi calcoli elettorali. Il voto di mid term di novembre è un giro di boa che farebbe paura anche a Oracle, figuriamoci a una barca come quella del presidente, che gioca sulla bolina strettissima di una maggioranza parlamentare risicata. Eppure non è tutto qui. Quando Obama afferma che «sull'energia occorre finirla con il dibattito di sempre tra destra e di sinistra, tra ambientalisti e imprenditori» non si può liquidare la cosa come tatticismo. È pragmatismo. Quando aggiunge che «non possiamo permetterci di non fare passi avanti» il suo è realismo, non il populismo a costo zero dei tea party che piacciono alle massaie del Midwest. E quando conclude che il nucleare è la soluzione migliore per «prevenire il cambiamento climatico perché non produce emissioni inquinanti» è la scelta di chi sa bene che su quel terreno il paese ha già pagato - do you remember Three Miles Island? - e sul tema ha ferite aperte. Ma è un paese obbligato per storia e vocazione a guardare oltre le paure.