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MERCATI E MERCANTI / I tagli fiscali non freneranno la crescita

di Alessandro Merli

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17 febbraio 2010

Il caso-Grecia ha riacceso la fibrillazione dei mercati finanzari sui paesi ad alto debito. Il che significa non solo la Grecia, ma diversi paesi della periferia europea e persino Gran Bretagna e Stati Uniti. Per questo, mentre fino a poche settimane fa - soprattutto negli Usa - si discuteva di un eventuale secondo pacchetto di stimolo fiscale, oggi, con la ripresa, seppur modesta, in arrivo, e l'allarme scoppiato sul rischio sovrano, l'attenzione si è spostata sul risanamento dei conti pubblici.

Il mantra dei consessi internazionali, dal G-20 al G-7 al Fondo monetario, è che bisogna pensare alla exit strategy, in modo da rassicurare i mercati sulle prospettive a medio termine del debito pubblico, ma non è ancora ora di metterla in atto per non soffocare la ripresa: insomma, alla Sant'Agostino, disciplina fiscale, ma non subito.

Quando verrà realizzata, l'exit strategy fiscale dovrà puntare, come ha spiegato anche Alberto Alesina sul Sole 24 Ore di domenica, non su aumenti delle tasse, che del resto sono politicamente impraticabili, ma su tagli alla spesa. È l'impegno che ha preso l'amnministrazione Obama, di dimezzare il deficit entro fine mandato e riportare la spesa pubblica discrezionale (difesa esclusa) alla percentuale più bassa dal 1962 rispetto al prodotto interno lordo. La Gran Bretagna ha promesso un taglio drastico del deficit, i due terzi del quale dovrebbero venire da riduzioni della spesa. Il tempo si incaricherà di verificare la credibilità di queste promesse.
Ma i tagli alla spesa pubblica riducono la domanda aggregata. Rischiano allora di vanificare l'effetto positivo sulla crescita dello stimolo degli ultimi due anni? Nient'affatto, secondo Giancarlo Corsetti, dell'Istituto universitario europeo, e due coautori, in un paper presentato all'American Economic Association: le future riduzioni di spesa possono anzi aumentare l'impatto espansivo dello stimolo fiscale attraverso un effetto di riduzione dei tassi d'interesse. A breve, in quanto riducendo le aspettative d'inflazione, consentono alle banche centrali di tenere i tassi più bassi. E a lunga, in quanto l'attesa di tagli dei tassi influenza le aspettative di mercato. Così, la domanda riceve un impulso da subito. Le cose si complicano se, come nel caso attuale, i tassi d'interesse ufficiali sono già sulla soglia dello zero o giù di lì. Questa circostanza milita a sua volta a favore di un'inversione non troppo rapida della politica fiscale, o comunque di un'introduzione graduale dei tagli di spesa.

C'è un altro elemento che il paper non approfondisce e che il caso-Grecia ha messo in evidenza: il rischio di default del paese ad alto debito e le sue conseguenze di mercato. Anche questi timori possono attenuarsi in presenza di un piano di risanamento credibile, che quindi contribuirebbe, anche attraverso questo canale, a ridurre i rendimenti a lunga. "Credibile" però è la parola chiave: e per ora la credibilità sembra merce rara nei piani di rientro della finanza pubblica. In Grecia e altrove.

17 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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