Certe scritte sono pietre. Quelle apparse ieri sulla lapide in memoria dei caduti a Nassirya - Parco Schuster di Roma - hanno spigoli aguzzi. Insulti sopra una A cerchiata di nero, ingiurie a un nemico immaginario e probabilmente mai incontrato. Deliri. Come quelli che si ascoltano in certe curve calcistiche per augurare morte all'avversario a terra o dannato da un colore di pelle che si pretende sbagliato. Vorremmo appunto poter derubricare quelle scritte alla voce idiozia e considerarla roba da stadio. Ma c'è molto di più. C'è un tratto di questo paese, che fatica a riconoscere e riconoscersi nelle più elementari basi di convivenza comune. Nel sapere dissentire senza odiare, nel contrapporsi senza infangare. I morti di Nassirya sono caduti di guerra in missione di pace. Questo giornale lo sa bene al punto da avere lanciato, quattro mesi fa, l'idea di un memoriale per chi, come loro, ha perso la vita per affermare la pace. Un'idea che ha trovato consensi unanimi ed è stata presentata alla Camera. Il suo spirito è, in un modo paradossale, illuminato dal gesto di odio di Roma. Come sempre l'Italia peggiore sfida la migliore, ed è bene che i migliori occupino il campo a viso aperto.