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Dietro a tutto ciò, c'è una divisione fondamentale. Quei due paesi vogliono procedere come prima, ma non accettano di subire il contraccolpo della propria dipendenza dal surplus commerciale quando i loro clienti fanno bancarotta. Come sta succedendo ora. Nel frattempo, i paesi che in passato avevano grossi deficit commerciali possono tagliare i deficit fiscali massicci causati dal deleveraging del rispettivo settore privato, una volta scoppiata la bolla finanziaria, soltanto con un'impennata delle esportazioni nette. Se i paesi con un surplus non riescono assorbire il cambiamento grazie a un'espansione della domanda aggregata, il mondo intero si ritrova a giocare a rubamazzetto, tutti cercando disperatamente di scaricare l'offerta in eccesso sui propri partner commerciali. Anche questo ha avuto un ruolo nella catastrofe degli anni Trenta.
È un gioco che i paesi con un surplus hanno scarse probabilità di vincere. Uno sconvolgimento della zona euro danneggerebbe l'industria tedesca. Un ricorso al protezionismo da parte degli Stati Uniti danneggerebbe la Cina. Come scriveva Euripide, «gli dèi fanno prima impazzire coloro che vogliono distruggere». Non è troppo tardi per cercare soluzioni cooperative, arrivare ad aggiustamenti da entrambi i lati. Conviene dimenticare il moralismo autocompiaciuto, e provare invece a usare il buon senso.