Non c'è soltanto l'Italia della manifattura classica. C'è anche quella delle biotecnologie. Nel paese che ha perso la grande chimica e la grande farmaceutica, zitta-zitta e quatta-quatta l'industria biotech inizia a pesare sempre più. Se l'automotive, di cui tutti riconoscono la centralità strategica e politica, vale il 3% del Pil, le biotecnologie pesano per l'1 per cento. Non male. Soprattutto perché il potenziale è ancora tutto da sviluppare. Oggi, a fare quel pur considerevole punto di reddito italiano, sono soprattutto gli scienziati puri e i ricercatori che, inventandosi un'altra vita, hanno abbandonato i laboratori privati e le università. Costoro, però, restano uomini in camice bianco. Mancano i manager. Non si trovano i dirigenti e i quadri intermedi, in grado di delineare buoni business plan per le start up ma anche di fare compiere alle aziende mature il giusto salto dimensionale. Un deficit strutturale su cui l'intero sistema formativo deve intervenire. Quel punto di Pil non può non crescere.