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Se la disoccupazione è invisibile

di Innocenzo Cipolletta

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17 settembre 2009

Se la recessione sembra essere terminata, la crescita della disoccupazione è invece appena all'inizio. Ma si tratta di una disoccupazione diversa da quella che avevamo conosciuto nelle precedenti recessioni, una disoccupazione quasi invisibile. Nel passato si assisteva a riduzioni di occupazione nelle grandi imprese, precedute da massicci ricorsi alla Cassa integrazione guadagni. La disoccupazione era un fenomeno molto visibile, perché rappresentata da coloro che venivano espulsi dal mercato del lavoro. La crisi aveva i nomi delle fabbriche che chiudevano e licenziavano. Era rappresentata da migliaia di lavoratori in Cassa integrazione guadagni permanente, che manifestavano nelle nostre città.

Oggi la disoccupazione sembra quasi invisibile. Non è rappresentata tanto dalle crisi delle fabbriche, ma da singole persone che non trovano lavoro. Prende i nomi propri di quei giovani che si arrangiano per trovare una soluzione lavorativa. È rappresentata da un'intera classe di giovani (alcune centinaia di migliaia) che hanno appena terminato gli studi e che faticheranno non poco a trovare lavoro. Veste i panni dei precari che sperano di poter accedere a un nuovo contratto.

È una disoccupazione invisibile, perché nascosta nelle nostre famiglie che comprenderanno un numero maggiore di inoccupati. È una disoccupazione che prolungherà la fase di stagnazione economica, perché inciderà sulla spesa per consumi. È una disoccupazione che potrà raggiungere numeri elevati, anche se non darà luogo a grandi manifestazioni di protesta. È una disoccupazione che segnerà un degrado della vita civile, perché i giovani saranno costretti a cercare nelle conoscenze e nelle raccomandazioni una qualche occasione di lavoro.

Questa trasformazione è il segno di modifiche strutturali del nostro sistema. È anche il segno di un ammodernamento, intervenuto grazie all'introduzione di flessibilità nel mercato del lavoro nel corso degli ultimi dodici anni. Le imprese hanno fatto ricorso ai contratti a tempo determinato per costituirsi una capacità produttiva eccedente, da utilizzare nelle fasi d'espansione del ciclo economico. Sono nate imprese di lavoro in outsourcing (specie nei servizi) che hanno consentito una maggiore flessibilità nell'uso della capacità produttiva delle imprese.

Le imprese italiane, come quelle di altri paesi, hanno potuto realizzare un dimensionamento ottimale, capace di espandere l'offerta nei momenti di crescita e di contrarla nei momenti di recessione, agendo prevalentemente sugli elementi di flessibilità che sono stati introdotti nel tempo. Oggi molte delle nostre imprese hanno potuto resistere alla recessione senza drammatici ridimensionamenti del personale impiegato a tempo indeterminato, grazie alla flessibilità acquisita.

La flessibilità introdotta ha avuto molti meriti. Ha consentito al nostro sistema produttivo di migliorare la posizione competitiva nel corso degli ultimi anni. Ha favorito la ristrutturazione delle imprese italiane, che si sono spostate nell'alto di gamma delle produzioni, fino ad arrivare a produzioni su misura elaborate su scala industriale. Ha consentito alle nostre esportazioni di mantenere quote significative del mercato internazionale. Ha permesso una forte crescita dell'occupazione e del tasso d'attività, quale non si era mai realizzata prima. Ha favorito l'assorbimento crescente dell'immigrazione che preme alle nostre frontiere. Ha consentito la nascita di nuove imprese e nuove iniziative. Ha consentito l'introduzione dell'innovazione tecnologica che presuppone strutture flessibili e adattabili.

Oggi molte delle nostre imprese hanno potuto resistere alla recessione senza drammatici ridimensionamenti del personale, grazie alla flessibilità acquisita. La flessibilità ha salvato molte delle nostre imprese. Ora bisogna salvare la flessibilità. Se le persone che hanno reso possibile questa flessibilità non riceveranno un sostegno al reddito, quando ci sarà la ripresa si alzerà una forte domanda di riduzione della flessibilità i cui costi si sono scaricati essenzialmente sui lavoratori a tempo determinato.

Ecco perché è necessario e urgente costruire un sistema di ammortizzatori sociali per coloro che hanno perso un lavoro a tempo determinato e per quanti, usciti dalla scuola, non trovano occupazione. Negli anni passati abbiamo reso flessibile il mercato del lavoro, ma abbiamo ancora gli ammortizzatori sociali costruiti per un mercato del lavoro rigido e fordista, com'era nel passato. Dobbiamo urgentemente modernizzare anche gli ammortizzatori sociali, che oggi sono incongruenti con il mercato del lavoro. Il ministro dell'Economia ha detto che ci sono le risorse finanziarie e che è possibile fare una riforma degli ammortizzatori sociali. A favore di una riforma si è anche espresso il ministro del Lavoro. Credo che questa riforma vada fatta in fretta, nelle prossime settimane, perché sia pronta quando ancora serve.

È interesse delle imprese che potranno così preservare quegli elementi di flessibilità faticosamente inseriti nel nostro mercato del lavoro. È interesse dei lavoratori adeguare gli ammortizzatori sociali ai nuovi tipi di lavoro che emergono. È interesse del paese affinché non cadano i consumi e non si prolunghi la recessione. Ma è anche molto urgente se non si vorrà chiudere la stalla quando i buoi saranno già scappati.

icipoll@tin.it

17 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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