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In primo luogo nessuna figura monocratica potrebbe mai sostituire il parlamento nel creare quell'articolato tessuto connettivo di cui prima parlavo, giacché esso si forma soltanto mettendo insieme al lavoro, lungo i percorsi della processualità parlamentare, i componenti delle Camere. E se è così, prima che a eleggere il capo dello stato, dovremmo pensare a eleggere meglio i nostri parlamentari, rendendoli rappresentativi non delle segreterie dei partiti che li candidano, ma dei loro territori. In Francia (come negli Stati Uniti) questo c'è ed è ciò che ha salvato il parlamento francese anche nei momenti più bui.
In secondo luogo il rischio davvero letale è che l'elezione diretta, lungi dal darci il capo dello stato in cui si riconosce l'intera comunità nazionale, ci dia invece un capo dello stato percepito come espressione di una parte politica e ci privi così di quello felicemente creato dalla Costituzione vigente e affermatosi proprio come rappresentante dell'unità nazionale. È da tempo che sostengo che in un paese caratterizzato da una fortissima conflittualità politica e da un mai consolidato tessuto di valori condivisi, il miracolo dell'elezione di parte che genera un presidente di tutti dopo un'accesa campagna elettorale è un miracolo che non si realizza. Mentre piace (e serve) agli italiani il capo dello stato di oggi, che essi vivono come rappresentante di tutti, perché è al di sopra e al di fuori della politica.
A dirlo ora non sono solo io, sono gli stessi sondaggi di cui hanno dato notizia i giornali della scorsa settimana. Si vuol fare, giustamente, ciò che ci chiedono i cittadini e che serve a risolvere i loro problemi? Ci sono diverse risposte giuste, ma non trovo fra di esse l'elezione diretta del capo dello stato.