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La guerra Ue al browser di Gates / Un'istruttoria lunga dieci anni ha partorito un clic

di Alberto Mingardi

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18 dicembre 2009

Nella nuova Commissione Ue, il portafoglio della Concorrenza passerà dalle mani di Neelie Kroes a quelle di Joaquin Almunia. Forse per questo, la commissaria olandese ha voluto chiudere il mandato mettendo il suo sigillo a un accordo con Microsoft, che pone fine alla “guerra dei browser”. Il primo colpo di fucile fu esploso in America, quando l'inserimento di Internet Explorer in Windows fu visto come una mossa sleale da Netscape. Il giudice Jackson avrebbe voluto smembrare in due l'impresa fondata da Bill Gates: una parte avrebbe prodotto il sistema operativo, l'altra ogni diversa applicazione. La decisione venne smentita dall'appello del 2001, quando per Microsoft cominciava il calvario europeo. Al centro del contendere sempre la scelta di regalare un altro software, stavolta un lettore multimediale, con il sistema operativo. La condanna e la maxi-multa della Ue furono solo la prima stazione di un percorso accidentato, che ha visto la softwarehouse incorrere in altre sanzioni Ue.

La guerra dei browser era ricominciata con un esposto degli svedesi di Opera, ed è finita senza incidenti e senza passione: con Microsoft che da marzo proporrà a chi acquisti un pc con il suo sistema operativo la scelta fra il suo e altri dodici browser.

Per la signora Kroes, è stata la capitolazione volontaria di un avversario tenace. Dal punto di vista dell'utente, con questa soluzione si risparmieranno un paio di clic: tanto costava aprire il browser di Microsoft per andarne a scaricare un altro. Ormai la fruizione di Internet è inseparabile dall'acquisto di un pc: avere un browser immediatamente utilizzabile è nell'interesse degli utenti. Per i concorrenti, contribuisce comunque a creare e attrezzare una domanda. Lo sviluppo di alternative a Explorer è stato possibile e fruttifero.

Tuttavia, se i simboli contano, siamo a una svolta. A Microsoft è stato cucito addosso il cliché del monopolista. È stata sovente rappresentata come un'impresa anchilosata, per giustificare l'impianto teorico alla base delle contestazioni. Che, cioè, la sua posizione dominante nel settore dei sistemi operativi per computer da scrivania fosse “traslabile” in altri ambiti, proprio attraverso quelle scelte legate all'apparente “regalo” di nuove applicazioni ai suoi utenti. Oggi che Bruxelles e Seattle siglano la pace, è possibile vedere in filigrana un posizionamento diverso da parte di Microsoft. La sua reputazione si è evoluta, anche perché si è spostata la frontiera tecnologica.

Tuttavia, proprio quanto accaduto in questi anni dovrebbe raccomandare alle autorità un supplemento di cautela, per il futuro. Dal punto di vista imprenditoriale, la scelta d'integrare sistema operativo, browser e lettore multimediale era corretta. L'abbiamo capito dopo ma, quando Gates l'ha fatto, eravamo alla vigilia di un cambiamento importante. Proprio i cambiamenti di questi anni ci dimostrano che è difficile definire a priori cosa sia un “prodotto”. Farlo spetta alle imprese stesse, in un continuo affinamento che cerca di venire incontro se non di anticipare le domande dei consumatori. L'avere successo nell'anticipare tali domande può portare al consolidamento di posizioni marcatamente “dominanti”, che però in assenza di protezioni pubbliche restano “sfidabili” in un contesto di mercato dagli eventuali concorrenti. I quali avranno tanto più successo, quanto più riusciranno anche loro a segnare una discontinuità, in termini di tecnologia o di strategie.
La politica della concorrenza rischia di essere anacronistica, perché non riesce a tenere il passo dell'innovazione. Il gigante Ibm sembrava un monopolio così pericoloso da guadagnarsi tredici anni di indagini antitrust: certe preoccupazioni, col senno di poi, ci appaiono davvero ingenue. Vedremo come rileggeremo in futuro il caso Microsoft.

Alberto Mingardi è direttore generale dell'Istituto Bruno Leoni (www.brunoleoni.it)

18 dicembre 2009
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