Il progressista Obama, il «verde» Obama, abbraccia il nucleare come buona carta da giocare per garantire al pianeta un futuro energetico ma anche ambientale. Lo fa in nome di un interesse bipartisan, spingendo l'industria, la finanza, la tecnologia. Tutta la tecnologia e non solo quella nippo-americana AP1000 di Westinghouse-Toshiba. Che anzi deve vedersela, perfino da loro, con il concorrente francese Epr, più avanti nello sviluppo e con due reattori già in costruzione in Francia e Finlandia.
Pragmatismo. Realismo. Indispensabile coraggio, quello di Obama. Gli avversari politici, nuclearisti già certificati, dovranno assecondarlo. I finanziamenti pubblici non mancheranno, seppur con tutte le obiezioni del caso.
Ben altra cosa rispetto allo scenario un po' sconfortante che il nostro paese sta dedicando allo stesso tema. Tanti i pentiti del referendum che nel 1987 ha smantellato il nostro atomo, allora all'avanguardia. Pentiti a sinistra, in questi giorni preelettorali, defilati dietro il no pregiudiziale al piano messo sul tavolo dal Governo Berlusconi con il suo ministro Claudio Scajola.
Il no della sinistra è apparentemente netto. Ma magari, dopo i necessari fragori delle amministrative, i pragmatici riprenderanno fiato e innescheranno più meditate riflessioni. Come non ricordare, del resto, le vecchie simpatie pro-atomo del segretario Pd Pier Luigi Bersani. Che ora se la cava anche lui con un pizzico di diplomazia dicendo che «per il nucleare ci vuole il fisico» e «questo piano è pasticciato e non dà le necessarie garanzie».
L'imbarazzo della sinistra è del resto poca cosa rispetto a quello che deve attraversare il centrodestra ufficialmente nucelarista. Formigoni, Zaia, per non parlare della Sardegna di Cappellacci. Tutti «appoggiano» la ricetta ufficiale, ma nei loro territori proprio no. Il nucleare non entrerà. Perché comunque – se la cavano così - non è necessario. Il dopo elezioni dovrà portare consiglio anche a loro.