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L'ECONOMIA E LE IDEE / Le infrastrutture di un'Italia a bassa velocità

di Gianfranco Fabi

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18 febbraio 2010

Stare a guardare è sicuramente troppo poco. Dopo la brusca frenata del 2009, l'economia italiana deve necessariamente trovare nuovi appigli a cui agganciare una ripresa certamente difficile e complessa. I fattori positivi, come il basso costo del denaro, rischiano così di essere inutilizzati se non si creano le condizioni per un forte sviluppo della domanda interna sia sul fronte dei consumi, sia su quello degli investimenti.

Ed è ormai consolidato nella teoria economica il fatto che una strategia anticiclica non possa che avere tra i suoi punti di forza il rilancio della politica delle infrastrutture. Anche se John Maynard Keynes è ricordato soprattutto per la sua politica di deficit spending, non si può dimenticare che l'economista di Cambridge ha spesso sottolineato come all'effetto moltiplicatore della domanda derivante dagli investimenti in infrastrutture era necessario aggiungere anche le ricadute positive per il miglioramento dell'efficienza dell'economia.

Nella famosa lettera del 1933 al presidente americano Roosevelt, sottolineava con forza come grandi investimenti nella rete ferroviaria avrebbero potuto costituire le base per far viaggiare il paese "verso la prosperità".

L'Italia ha sempre avuto problemi di "governance" nella strategia infrastrutturale. Le lentezze dei tempi, la complessità delle procedure, i rischi dei ricorsi, la difficile acquisizione del consenso popolare sono tutti problemi che hanno sempre causato e continuano a causare incertezze e ritardi. È significativo che diventi addirittura un titolo di un libro la domanda È possibile realizzare le infrastrutture in Italia?

La risposta ovviamente non può essere drasticamente un sì o un no. La realtà è che Alfredo Macchiati e Giulio Napolitano sottolineano che negli anni sono cresciuti i problemi anche perché a fianco d'interventi di snellimento procedurale, tra questi la cosiddetta Legge Obiettivo, si è ampliato un confuso decentramento amministrativo che non è ancora un vero e proprio federalismo, ma che comunque non offre più una dinamica centralizzata delle decisioni. E allo stesso modo, a fronte dell'inaridirsi dei finanziamenti pubblici, per evidenti compatibilità di bilancio, non si è messo in atto un quadro regolatorio capace di attirare i necessari investimenti privati.

«Sembra - scrivono Macchiati e Napolitano - che ancora manchi un disegno innovatore chiaro e coerente anche con l'insieme delle trasformazioni subite dalla distribuzione dei poteri e i vincoli della finanza pubblica».

Il tema delle infrastrutture deve restare comunque centrale in una strategia di politica economica capace di costruire le condizioni della ripresa. È anche per questo che appare ancora più amaro il rischio di veder ritornare in primo piano i temi della corruzione e delle tangenti, con eventi per ora circoscritti, ma che segnalano la necessità di procedure ancora più efficaci e risolutive.

18 febbraio 2010
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