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ilPUNTO / Il pericolo di una piazza radicale che non recupera i moderati

di Stefano Folli

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18 marzo 2010

Fa bene il presidente del Consiglio a preoccuparsi, non tanto per un'astensione generica, quanto per il rischio che gli italiani cosiddetti «moderati», interpreti di quel ceto medio che in sedici anni ha fatto la fortuna elettorale del centrodestra, decidano il 28-29 marzo di restare a casa. È un pericolo consistente, dato il livello di «stress» e di nevrosi a cui questo mondo viene esposto ogni giorno.
Non c'è dubbio, del resto, che la procura di Trani ha contribuito non poco a incendiare la foresta. Può darsi persino che il senso di insicurezza collettiva generato dal diluvio di intercettazioni e dall'ennesima ipotesi di reato aiuti Berlusconi a mobilitare una parte del suo elettorato. Ma a che prezzo? Quello di deluderne e irritarne un'altra porzione, peraltro essenziale: coloro che al governo chiedono soluzioni ai problemi della vita quotidiana, desiderando in fondo un'illusione di serenità e qualcosa che assomigli a una prospettiva.
Sono giorni che il premier riflette intorno al problema. Alla fine l'idea che ha saputo mettere a fuoco è quella di scendere in piazza «in difesa della democrazia». Più precisamente, come egli stesso ribadisce sul sito del Pdl, la manifestazione di sabato servirà a «difendere il nostro diritto al voto e il nostro diritto alla privacy». È vero che è previsto anche una sorta di «patto con gli italiani» siglato dai tredici candidati governatori, mentre per le vie di Roma sarà steso un Tricolore lungo 500 metri. Tuttavia dalle stesse parole di Berlusconi è palese che il fulcro della giornata sarà di nuovo l'attacco alle procure «che vogliono condizionare il voto», nonché agli autori del complotto contro la lista del Pdl a Roma.

Si capisce che in questo modo la tensione è destinata a crescere. Non capita molto spesso che il presidente del Consiglio scenda in piazza a una settimana dalle elezioni per attaccare organi e istituzioni dello Stato, da lui accusati di minare la base democratica del paese. Tanto più che questo stesso premier dispone in Parlamento di una maggioranza molto ampia, mentre al Quirinale siede un presidente della Repubblica che ancora ieri ha rivolto un saggio appello alla calma (un appello contro i conflitti istituzionali che riguarda tutti, anche la sinistra e la magistratura).

Questa drammatizzazione estrema e un po' inquietante ha il solo scopo di portare i tradizionali elettori del Pdl alle urne. In passato ha sempre funzionato. Oggi serpeggia qualche dubbio, se anche un giornale vicino al centrodestra come Libero titola: «Occhio, la Lega acchiappa tutto». E poi: «Silvio punta la campagna sulle toghe, il Carroccio sulla politica». Frase molto chiara. Bossi sarà sabato alla manifestazione perché non può farne a meno. Ma è evidente che i leghisti procedono secondo il loro passo, indifferenti o quasi ai turbamenti del grande alleato. Si preoccupano di «fare politica», cioè di raccogliere i voti «sul territorio», come si dice: ossia attraverso il dialogo con la gente. E non credono che la psicosi delle procure aiuti a guadagnare consensi.

Ecco dunque il pericolo per il premier. Un successo eccezionale della Lega nel Nord, un parziale insuccesso del Pdl nel resto d'Italia. Un elettorato «moderato» che non passa dall'altra parte, visto che ha poca fiducia nel Pd, ma la cui delusione accresce l'indice del «non voto». Se così fosse, Berlusconi si troverebbe con una base al tempo stesso più esigua e più radicalizzata. Miscela poco invidiabile.

18 marzo 2010
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