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IL PUNTO / Elezioni incomprensibili quando manca un casus belli

di Stefano Folli

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18 NOVEMBRE 2009
Il presidente del Senato, Renato Schifani (Ansa/Claudio Onorati)
IL PUNTO
di Stefano Folli

Dopo settimane in cui la scena mediatica è stata occupata stabilmente dal presidente della Camera, ieri si è sentita la voce dell'altro presidente, Renato Schifani. Da Palazzo Madama egli ha fatto sapere che, se la maggioranza cessa di essere compatta nell'attuare il programma di governo e se viene meno «il patto con gli elettori», si torna subito alle urne.
Si tratta della seconda carica dello Stato e le sue parole non vanno prese alla leggera. Esse rivelano lo stato di grave tensione all'interno del centrodestra,nonché il desiderio di sostenere sul piano istituzionale, e forse anche psicologico, un Berlusconi provato dalle recenti vicende. Se Fini, con le sue punture di spillo, tiene il premier nell'angolo e ne riduce di giorno in giorno le capacità di manovra, Schifani va in soccorso dell'amico presidente del Consiglio. Perché non ci sono dubbi che la tesi esposta dal presidente del Senato coincide fin nei dettagli con i convincimenti, e anche con gli interessi politici, di Berlusconi.
Se la maggioranza non è compatta si torna a votare... Nel Pdl qualcuno lo pensa da settimane, quasi sempre in polemica con il «nemico interno» Fini. Ma ora che lo ha detto Schifani, il quadro non è cambiato granché. Non siamo più vicini alle elezioni anticipate oggi di quanto non fossimo una settimana fa. Per due ragioni. La prima è che la maggioranza non è in crisi sul programma. Quando mai la compattezza è venuta meno su uno dei punti che costituiscono il «patto con gli elettori»? È vera un'altra cosa: il governo è troppo timido nell'attuazione della sua agenda, avrebbe bisogno di ben altro vigore. Ma sui nodi programmatici la maggioranza è salda, nonostante gli incidenti di percorso, tant'è che oggi vota la fiducia al decreto legge Ronchi. La crisi riguarda piuttosto il rapporto con la magistratura, o se si preferisce il corto circuito politica-giustizia. Testimoniato dalle divergenze con il presidente della Camera sul «processo breve», ossia sul possibile salvacondotto giudiziario per il presidente del Consiglio. Che si tratti di un passaggio politico cruciale è evidente, tuttavia non riguarda il programma del centrodestra sottoscritto con gli elettori. È una questione delicata e rilevante che tocca la leadership di Berlusconi.
Provocare le elezioni anticipate su questo punto esige una determinazione senza precedenti, espone la coalizione di governo a violente polemiche e naturalmente non garantisce il risultato. In ogni caso occorre essere chiari. La maggioranza non è disunita sul programma, bensì sul modo di fronteggiare il problema giudiziario del premier dopo la bocciatura del Lodo Alfano. Berlusconi stesso ne è consapevole e si rende conto che ottenere dal Quirinale lo scioglimento delle Camere senza un concreto «casus belli» è molto difficile. E alla fine potrebbe essere inutile. Elezioni concepite per «punire» la supposta slealtà di Fini e ottenere gruppi ancora più omogenei rischiano di essere incomprensibili. Visto che già oggi il centrodestra gode alla Camera di un centinaio di seggi di vantaggio, un margine ampio per governare.
Il secondo motivo per cui le parole di Schifani meritano attenzione, ma suscitano qualche sorpresa riguarda la mancata citazione del capo dello Stato. È Napolitano che scioglie le Camere, in base alla Costituzione. E il fatto che si rompa il «patto» tra la maggioranza e i suoi elettori non è di per sé una ragione sufficiente per mandare il paese alle urne. Lo diventa se nessun'altra maggioranza è possibile in Parlamento. O magari se non si trova un potenziale premier in grado di governare con una maggioranza analoga o simile a quella entrata in crisi. L'argomento di Schifani, come quelli citati talvolta da Berlusconi, fa riferimento alla cosiddetta «Costituzione materiale » che si vorrebbe sovrapposta a quella codificata. Si adombra lo scenario per cui sarebbe il presidente del Consiglio, più che il capo dello Stato, a decidere quando è il momento di concludere la legislatura. Costituzione materiale, appunto. Ma c'è da dubitare che il Quirinale sia d'accordo.
In ogni caso il richiamo di Schifani alla coesione della maggioranza è in sé opportuno. Tanto è vero che trova il sostegno, pur tiepido, del leghista Maroni. Ma il ministro dell'Interno mette l'accento sulle riforme da fare, piuttosto che sull'ipotesi di elezioni. Confermando così l'orientamento della Lega: andare avanti e attuare il programma, a cominciare dal cavallo di battaglia del federalismo. Bossi lo ripete spesso. Anche per questo Berlusconi, sapendo come la pensa l'alleato leghista, evita di pronunciarsi in modo netto sulle elezioni. Lascia che siano altri a esprimersi. Meglio se con l'autorevolezza del presidente del Senato.

18 NOVEMBRE 2009
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