Nel mezzo di una crisi, è difficile distogliere l'attenzione dall'emergenza,alzare lo sguardo, pensare agli effetti di lungo termine delle proprie azioni. L'urgenza della lotta per la sopravvivenza può far dimenticare che le decisioni che sembrano tenerci a galla oggi, rischiano di farci affondare domani.
Una vivace discussione è in corso sulle conseguenze delle azioni di governi e banche centrali, che, secondo alcuni, sono servite a superare la fase più acuta della crisi, solo per creare i presupposti della prossima.L'osservazione vale anche per le singole imprese e le singole banche.
Una ricerca condotta da economisti delle università di Illinois, Duke e Amsterdam, con un sondaggio di ampiezza senza precedenti fra oltre mille direttori finanziari di imprese in Usa, Europa e Asia, illustra la loro reazione in termini di gestione della liquidità e degli investimenti. I risultati, illustrati nei giorni scorsi a una conferenza in Banca d'Italia sulle lezioni della crisi, mostrano come l'impatto del credit crunch sia stato brutale. Le imprese più fragili dal punto di vista finanziario, quelle colpite dall'aumento del costo del denaro o dall'indisponbilità di finanziamenti, al culmine della crisi hanno bruciato liquidità a un ritmo impressionante: un 20% circa delle riserve negli Usa, il 23% in Europa, l'11% in Asia dove però il valore di partenza è molto più alto. I direttori finanziari rivelano che hanno fatto ricorso a linee di credito esistenti per finanziare le operazioni ordinarie e necessità di breve termine, ma anche a scopi precauzionali, prevedendo difficoltà di accesso in futuro.
L'indagine rivela però anche la misura in cui i problemi con il credito si sono trasmessi al settore reale. Guardando ancora una volta alle imprese finanziarmente più fragili, emergono piani di tagli all'occupazione, alla ricerca e sviluppo, agli investimenti, alla spesa di marketing. Le implicazioni di lungo periodo del taglio agli investimenti sono le più allarmanti: se, in tempi normali, un 44% delle imprese europee rinuncia a opportunità d'investimento a causa del costo o della disponibilità di credito, questa percentuale è salita all'80% durante l'ultima crisi. Non solo,ma un 61%dei direttori finanziari interpellati in Europa dichiara che l'impresa ha anche dovuto vendere asset per ottenere liquidità.
La conclusione è che nell'esame della crisi ci si concentra spesso sulla contrazione degli utili o l'aumento della disoccupazione, ma che il credit crunch porta con sé effetti più difficili da individuare immediatamente, ma altrettanto pericolosi. La cancellazione di progetti redditizi, per ottenere cash flow nel breve, sacrifica la crescita di lungo periodo, mette a repentaglio la capacità delle imprese di stare sul mercato in futuro, in ultima analisi, la loro chance di sopravvivere. Un messaggio che le imprese, a giudicare dalle risposte dei direttori finanziari, hanno recepito sulla propria pelle. È indispensabile che lo facciano anche i loro banchieri.