Il Sole 24 Ore
Stampa l'articolo Chiudi

18 NOVEMBRE 2009

QUESTIONE MERIDIONALE / Il Sud nel triangolo del non fare

di Carlo Carboni

Partito del Sud, «gabbie salariali» (dibattito ferragostano), Banca del Mezzogiorno varata da Tremonti. Questo l'iter recente attraversato da una questione antica, il divario meridionale, una problematica che non cessa mai di essere evocata, come nel caso della ricorrenza della caduta del Muro di Berlino. Mentre l'Est della Germania ha in vent'anni dimezzato le distanze dall'Ovest in termini di Pil procapite (per non citare la qualità della vita di una grande capitale come Berlino), il Mezzogiorno,in 150 anni di unità d'Italia, ha faticato a mantenere inalterato il gap che lo separa dal Centro-Nord (per non parlare del degrado del Napoletano, si veda Il Sole 24 Ore dell'11 novembre). Secondo il National Opinion Research Center (University of Chicago), anche la comunità degli italoamericani ha da tempo raggiunto una perfetta integrazione negli States, tanto che gli orientamenti e lo status medio dei cittadini Usa risultano largamente coincidenti con quelli dell'italoamericano medio, a suggellare una metamorfosi socioeconomica perfettamente avvenuta. Certo, si tratta di contesti e soggetti diversi, che però danno conto di un particolarismo della questione meridionale, già complessa e vischiosa nel "quadro di partenza", tanto da risultare problematico persino progettarne un nuovo ciclo di sviluppo (come, alla fine dei Novanta, tentato dal Dipartimento diretto da Fabrizio Barca). Le scienze economiche e sociali, con amarezza, diagnosticano infatti la diffusione di capitale sociale negativo (soprattutto nelle regioni e città più popolate del Sud), il quale rende elevati i costi di transazione, di scambio. In altre parole, sono carenti le economie esterne, le infrastrutture e i servizi, ma soprattutto sono certi tipi di relazionalità, come il clientelismo politico e le reti mafiose, a rendere alcune areechiave meridionali allergiche al mercato economico. Una secca riprova della correlazione inversa tra mercato e poteri mafiosi viene proprio da alcune aree meridionali come l'Abruzzo,la Basilicata,la Sardegna e in parte la Puglia, aree regionali affrancate dai poteri mafiosi, nelle quali lo sviluppo e la crescita economica in questi anni hanno assunto ritmi apprezzabili. Le logiche e i comportamenti impliciti nei tipi di relazionalità mafiose e di clientelismo "complice" tengono sotto scacco (e ricatto) le principali trame del tessuto sociale meridionale. Sono avverse alla modernizzazione poiché rendono difficile la fiducia nelle transazioni. Manca fiducia da parte dei potenziali investitori esterni poiché non c'è fiducia nel contesti locali.
Il ragionamento deve perciò necessariamente partire dalla forza dei giocatori avversi allo sviluppo. In primo luogo, le mafie sono i principali responsabili dei drammatici ritardi delle quattro grandi e popolose regioni meridionali. Campania, Calabria, Puglia e Sicilia oggi sono tra le regioni più povere e statiche in Europa. Le reti di relazioni di tipo mafioso entrano in circolo nelle arterie istituzionali e soprattutto fluiscono, infettandoli, nei capillari familiari, parentali, di comunità locale. In secondo luogo, i ceti ristretti politico-istituzionali locali, con le loro promesse mancatee i loro deprecabili sprechi, appaiono i demiurghi di un'immagine del Mezzogiorno che ha tradito le aspettative degli italiani, dopo anni di ingenti investimenti pubblici (oggi il Sudè dietro, in quanto a reddito e produttività, a Grecia e Portogallo). Anche se promette diversamente, in cuor suo, il politico ritiene di non dover prendersi cura del bene collettivo se non in funzione del tornaconto personale e del proprio comitato elettorale. Le risorse pubbliche, nei decenni, impiegate per lo sviluppo del Sud, in parte sono state intercettate dalle mafie, ma in parte sono state assorbite per alimentare le clientele del mercato politico. In breve, sono state inghiottite dalle logiche entropiche e dissipative dei meccanismi di consenso politico-clientelare, i cui costi sociali al Sud sono molto elevati, difficilmente quantificabili. Ad esempio, quanto è costato in termini di efficienza il fatto che la Regione Calabria abbia introdotto solo di recente il concorso per dirigenti? Nel frattempo, quanti giovani meridionali meritevoli sono emigrati per lasciare posto a soggetti assunti negli Enti e nei servizi locali dal clientelismo politico? L'assessore e il consigliere sono di frequente anche datori di lavoro per una politica senza politica, senza una visione di sviluppo del Mezzogiorno, senza una classe dirigente in grado di proporre un patto nazionale attorno ad un'idea di modernizzazione economica e morale del Sud. Prevalgono le elite e non le classi dirigenti, l'autoreferenzialitàe non una guida economica e morale per le società meridionali.
Il terzo giocatore avverso è diffuso nella società stessa. Questa, infatti, vive e subisce il pan politicismo e usufruisce a volte delle scorciatoie mafiose. Ne sono esempi l'abusivismo edilizio endemico che ferisce per sempre il paesaggio, la leva delle raccomandazioni per ottenereun impiego nella PA periferica o strappare un sussidio immeritato, l'evasione fiscale, il lavoro nero, lo scempio dei rifiuti. Del resto il mercato politico e quelli controllati dalle mafie sono gli unici efficienti nell'allocazione delle risorse alle famiglie, secondo comportamenti amorali e miopi in funzione del perseguimento cinico del proprio tornaconto. Tutto avviene all'ombra di meccanismi di sostanziale ricatto e dentro strategie che alimentano la soggezione e la paura sociale. Una sorta di mente sociale divisa tra adeguamento realistico al ricatto e una speranza che non muore.
Come prescrivere una ricetta per il Sud senza tenere conto della forza di questi giocatori avversi? Quali soggetti, annidati nella mente sociale divisa, potrebbero essere protagonisti di un nuovo ciclo di sviluppo? Sicuramente soggetti dotati di autorità e autorevolezza, dovendo contrastare fenomeni di potere reale. In primo luogo, un possibile antidoto per ribaltare il capitale sociale negativo meridionale è costruire un cartello di soggetti istituzionali, parti datoriali e sociali, banche, forze ambientali e culturali che esprimano una governance del territorio e dello sviluppo locale meridionali in funzione della programmazione e del controllo dei finanziamenti pubblici e privati. In secondo luogo, servirebbe non il Partito del Sud, ma un patto nazionale per lo sviluppo del Mezzogiorno. Questo obiettivo può essere centrato dalla coscienza nazionale che solo un'uscita rapida dalla sospensione e dal ristagno del Mezzogiorno consentirà al Paese di riavviare l'economia e lo sviluppo a un ritmo adeguato ad un grande paese di rango europeo.

18 NOVEMBRE 2009

Redazione OnlineTutti i serviziI più cercatiPubblicità   -Fai di questa pagina la tua homepage
P.I. 00777910159 - � Copyright Il Sole 24 Ore - Tutti i diritti riservati   partners