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Il fair value sperduto nel labirinto delle banche

di Robert Kaplan, Robert Merton, e Scott Richard *

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19 Agosto 2009

Le banche e gli altri istituti finanziari fanno lobbying contro la contabilizzazione al fair value delle loro attività. Sostengono che molte delle loro attività non sono problematiche, che comunque intendono conservarle fino alla scadenza e che i recenti prezzi di transazione non rispecchiano il valore effettivo degli asset, bensì le difficoltà di vendere in un mercato illiquido. I Parlamenti e le autorità di regolamentazione sostengono questa tesi, preferendo mascherare il calo dei prezzi delle attività che dover gestire le conseguenze di banche insolventi.
Tutto questo non aiuta a fare passi avanti. Regolatori e legislatori smaniano per trovare soluzioni semplici a problemi complessi, ma consentire agli istituti di credito di ignorare le transazioni di mercato non è una buona idea.
Una banca sostiene di solito che un mutuo per il quale continua a ricevere regolarmente i pagamenti mensili non è un mutuo problematico, e che non c'è necessità di svalutarlo. Però un potenziale acquirente del mutuo difficilmente lo valuterà al suo valore originario. L'acquirente calcola il rapporto prestito/valore sulla base del valore corrente dell'immobile, che è molto più basso. Dopo aver calcolato l'eventualità d'insolvenza, l'acquirente potenziale elabora un prezzo che tiene conto del rischio d'insolvenza e della potenziale perdita: un prezzo che è ben al di sotto del valore contabile del mutuo riportato nei registri della banca.
La banca probabilmente ignorerà il prezzo offerto, o scambi con attività analoghe, sostenendo che sono le condizioni eccezionali del mercato, non un calo del valore delle attività, a determinare la carenza di acquirenti al prezzo originario. Ma il vero motivo è che non vogliono ammettere la perdita. Conservando gli asset al loro valore originario, però, la banca crea le condizioni per un peculiare scenario, con la possibilità che i suoi trader acquistino un prestito identico a un prezzo inferiore, e perciò trovandosi a detenere, fra gli asset non in vendita, due titoli identici a prezzi diversissimi.
Gli asset finanziari, anche i raggruppamenti complessi di asset, vengono scambiati di continuo sui mercati. I mercati funzionano al meglio quando le aziende rivelano informazioni attendibili sul valore delle loro attività e sui flussi di cassa futuri. Se le aziende scelgono di non rivelare le loro stime più attendibili sul valore equo delle loro attività, gli operatori di mercato elaboreranno da soli un giudizio sui flussi di cassa futuri e sottrarranno un premio di rischio per la mancanza di trasparenza. Una contabilità valida dovrebbe limitare le perdite di questo genere.
Funziona già così in un altro comparto della finanza. I fondi comuni di investimento negli Stati Uniti ora, per fornire stime eque del valore delle loro attività scambiate sui mercati esteri, non usano più l'ultimo prezzo di mercato, bensì dei modelli che servono a prevedere i prezzi a cui verrebbero scambiati questi asset esteri alla chiusura dei mercati negli Stati Uniti, basandosi sui prezzi di chiusura di attività simili sul mercato Usa. In questa maniera, i fondi fanno in modo che i loro azionisti non scambino le quote sulla base di valori netti distorti, calcolati partendo da prezzi ormai superati. Le banche possono usare modelli analoghi per aggiornare i prezzi che verrebbero pagati per varie attività. Gli uffici di trading delle banche dispongono di modelli che consentono, anche per i raggruppamenti di asset complessi, di prevedere i prezzi che verrebbero offerti con un margine di errore del 5 per cento.
Ottenere stime attendibili per raggruppamenti complessi di titoli garantiti da attività, naturalmente, non è semplice. Ma oggi gli analisti di una banca possono usare i prezzi delle ultime transazioni di mercato come punti di riferimento, e poi applicare dei correttivi in base alle caratteristiche specifiche degli asset detenuti dalla banca, come i prezzi sul mercato locale degli immobili a cui fanno riferimento i mutui.
Perché queste stime, fatte da analisti interni alla banca, siano credibili, è necessario che vengano convalidate da revisori esterni e indipendenti. Molti revisori certificati, tuttavia, hanno scarso addestramento ed esperienza dei modelli usati per calcolare stime eque. In questo caso, le società di revisione possono ricorrere ad esperti esterni, più o meno come fanno oggi con esperti di calcolo attuariale e avvocati, che forniscono un'attestazione indipendente ad altre stime complesse presenti nei documenti finanziari di una società. Il costo aggiuntivo del ricorso a esperti indipendenti rientra fra i costi legati all'emissione e all'investimento in strumenti finanziari complessi, poco scambiati sui mercati.
I legislatori e gli organismi di regolamentazione temono che declassare le attività di una banca al valore equo possa innescare azioni automatiche, col deterioramento del coefficiente patrimoniale. Ma usare le regole contabili per ingannare i regolatori con informazioni non accurate non è una buona cosa. Se i calcoli sui capitali sono basati su valori imprecisi delle attività, i coefficienti patrimoniali sono già più bassi di quanto appare. Le banche dovrebbero fornire ai regolatori le migliori informazioni possibili sulle loro attività e passività e, separatamente, consentire loro la flessibilità e la discrezionalità per correggere il coefficiente di adeguatezza patrimoniale in base alla situazione economica. I regolatori possono abbassare i coefficienti patrimoniali durante i periodi di rallentamento dell'economia e alzarli quando l'economia va bene.
  CONTINUA ...»

19 Agosto 2009
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