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Una formula magica poco trasparente

di Raffaele Rizzardi

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19 aprile 2010
Studi di settore, una formula magica poco trasparente

Gli studi di settore sono medie matematico-statistiche, per individuare ricavi o compensi considerati "normali", di determinati contribuenti. Proprio perché di medie si tratta, gli studi non possono costituire - di per sé - la prova legale che un determinato soggetto abbia conseguito almeno un certo introito.

Il cammino verso gli studi di settore è iniziato 25 anni fa. Dopo l'esperienza dei coefficienti della Visentini del 1985, la nascita giuridica dello strumento risale al '93, insieme al contributo diretto lavorativo, la minimum tax, che ebbe vita breve. Questo tipo di accertamento era stato anche chiamato minimum taxi, perché una delle categorie che aveva sottoscritto una sorta di concordato preventivo con il fisco era proprio quella dei taxisti. Il fatto assurdo era che nonostante questa pre-definizione del reddito, i taxisti dovevano tenere la contabilità "regolare" e rilasciare le ricevute fiscali. Non a caso i tassisti si lamentavano perché, pur sapendo già quanto pagare, erano costretti a rilasciare ogni giorno decine e decine di inutili ricevute che, per evitare perdite di tempo, venivano compilate la sera, a casa. Un piccolo esempio che spiega una delle incongruenze - oggi in molti casi superate, per fortuna - del nostro sistema fiscale.

Gli studi di settore, comunque, non sono un'invenzione italiana. Ne troviamo in Francia l'antenato, le monografie, nate quando non esisteva l'informatizzazione di oggi, ma che contenevano l'esatta descrizione delle modalità di svolgimento dell'attività, così che fisco e contribuente potevano capire in quale esatto settore andava collocato quel soggetto.
Questo argomento rileva anche nei nostri studi di settore: tanto che la circolare 19/E della scorsa settimana ribadisce, in base alla giurisprudenza della Cassazione, la centralità del l'incontro tra fisco e contribuente, finalizzato ad adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l'ipotesi dello studio di settore.

Ma a questo proposito la principale carenza informativa dei nostri studi riguarda la costruzione della formula e il suo svolgimento.
Come si può pretendere che lo studio abbia un valore legale, quando l'amministrazione finanziaria non ha mai depositato in giudizio la formula che ha determinato il risultato posto a base dell'accertamento, e gli elementi razionali ad essa sottesi?
Ed è proprio la non trasparenza della formula l'elemento che suscita le maggiori critiche: in alcuni degli anni passati contribuenti che erano sempre stati congrui si sono trovati ben al di sotto del minimo richiesto, per decine o centinaia di migliaia di euro, in situazioni ove il "nero" è impossibile, come nelle imprese che lavorano per conto terzi.
L'altro elemento di criticità degli studi riguarda il ritardo nella loro pubblicazione, che anche questa volta è andato alla fine di marzo - cioè al mese di aprile per poterli concretamente utilizzare.

In passato lo scopo del rinvio era quello di alzare l'obiettivo per un maggior gettito, ora la motivazione è data dalla revisione al ribasso per tener conto degli effetti della crisi. Ma se si vuole che lo studio sia efficace, deve essere utilizzabile già nel corso dell'anno di riferimento, per indurre a una dichiarazione più fedele, se il contribuente si riconosce nello studio. Ad anno già largamente concluso l'adeguamento spontaneo diventa difficile, se non impossibile.

19 aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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