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BASTA CON L' ORDINE SPARSO / Non è riforma se non è globale

di Dominique Strauss Kahn

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19 febbraio 2010

I sistemi finanziari nazionali sono parte integrante di una più vasta rete globale. Se è vero che è in atto un processo di collaborazione mirante a superare il problema dei regolatori locali alle prese con banche globali, molti paesi stanno affrontando riforme su vasta scala da direzioni diverse e a ritmo diverso. In tutto ciò non si tiene più presente un'importante lezione che avremmo dovuto apprendere dall'attuale crisi: meglio dell'unilateralismo è sicuramente la coordinazione.
Valga un unico esempio: molti paesi hanno stabilito che le banche straniere, anche se operano in qualità di filiali estere, debbano mantenere una liquidità maggiore a livello locale per resistere in situ a un eventuale congelamento nell'accesso ai finanziamenti locali. Questo requisito offre sicuramente garanzie di grande prudenza, ma le banche più importanti gestiscono i loro rischi legati ai finanziamenti e ai prestiti a livello globale. Se le banche incorrono nell'obbligo di dover garantire una certa liquidità in ogni giurisdizione nazionale, la loro capacità d'intermediatori internazionali di capitale potrebbe essere compromessa e le loro spese aumenterebbero a discapito dell'economia mondiale.

Una delle ragioni per le quali sono in aumento iniziative più che razionali a livello locale ma poco lungimiranti a livello globale è che i regolatori finora non sono riusciti ad accordarsi su un convincente meccanismo di condivisione degli oneri nel momento in cui i conglomerati transnazionali dovessero incappare in qualche problema.

Finché non ci avvicineremo a una carta globale del genere di quelle che si utilizzano per gli incidenti di navigazione, i vari paesi dovranno inevitabilmente cercare di limitare la potenziale passività dei loro contribuenti insistendo su regole prudenziali locali. Nel frattempo, le istituzioni che incorrono nella bancarotta si precipiteranno a trasferire in patria i loro asset a spese di una soluzione globale più efficiente - il che, dopotutto, è proprio ciò che le attuali leggi impongono.

Ciò è parte di un più ampio divario creatosi nelle normative delle grandi istituzioni finanziarie complesse che dominano il mondo della finanza. Immaginiamo un'holding finanziaria che possieda una banca commerciale, una banca d'investimento, una compagnia d'assicurazioni e un operatore di derivati. Nei periodi in cui va tutto bene, conta soltanto l'entità consolidata. Nei periodi in cui le cose si mettono male, ogni sussidiaria nei guai dev'essere salvata individualmente, con regole e procedure che variano rispetto alla forma legale della sussidiaria, e che potrebbero andare a detrimento del gruppo consolidato, del sistema finanziario e dell'economia in genere. Immaginiamo adesso di cercare di gestire un conglomerato che ha cento sussidiarie in giurisdizioni diverse: eccoci già più vicini alla complessa realtà che era della Lehman.

Le recenti proposte di una "speciale autorità di risoluzione" e di "volontà attive" di gestire il fallimento di complesse istituzioni finanziarie a livello di casa madre sono pertanto estremamente importanti. Ma perfino mentre si adoperano a trovare una via di mezzo tra il salvataggio in extremis e un catastrofico collasso, l'ambito di questi meccanismi non si estende sempre alle sussidiarie fuori dal paese originario. Né tutte le giurisdizioni hanno una simile autorità di risoluzione sulle società holding finanziarie.

Il processo globale per raggiungere un accordo su politiche prudenziali sotto il Comitato di Basilea e il Financial Stability Board è pertanto un'impresa estremamente importante. Il lavoro di questi enti e di altri che fissano gli standard finanziari deve accelerare, per armonizzare le norme che limitano un'eccessiva esposizione al rischio e per risolvere le sfide a più ampio raggio, come fornire liquidità oltre i confini del sistema bancario formale (in questa crisi la corsa non si è verificata tanto nei depositi bancari, quanto nel finanziamento su vasta scala da parte degli investitori internazionali).

Il tempo è un fattore cruciale per raggiungere un accordo internazionale, nel timore che la pazienza politica nei confronti delle riunioni normative segrete finisca e si possa entrare in un circolo di politiche non coordinate, di distorti flussi di capitale e di arbitraggio normativo. L'Fmi, dal canto suo, lavorerà per tirare fuori le implicazioni sistemiche e macroeconomiche delle riforme del settore finanziario e, se mai ci arriverà, le implicazioni di un fallimento per convergere su una soluzione comune.
(Traduzione di Anna Bissanti)

19 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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